Siamo giunti alla fine di una strana campagna elettorale condotta per lo più sui media a suon di dibattiti televisivi e, solo nell’ultima fase, nelle piazze con eventi e comizi. E’ stato un dibattito contrassegnato da toni sempre più tesi alla denigrazione degli avversari più che alla forza propositiva di comunicare le ragioni di un consenso, in un “crescendo verdiano”, caratterizzato da una forte di dose di demagogia da parte di alcuni leader. Dove per demagogia intendo il senso che ne diede Platone, identificando con questo termine (da démos, in quanto popolo, e agoghé, in quanto condurre nel senso di un’attività di manovra e seduzione) uno stato degenerativo della “democratía”.



Di fronte ad una costante perdita di credibilità dell’attuale classe politica e nell’aggravarsi della crisi, sempre più pungente come il freddo quando cala fino ad entrarci nelle ossa, lo stato di repulsione nei confronti della rappresentanza partitica rischia di portare all’astensione dal voto o al voto di protesta, con proporzioni mai viste in Italia.



È così vero che la quota degli indecisi e degli indignati rimarrà con percentuali a due cifre fino alle ultime ore prima dell’apertura delle urne. Ora diventa necessario rispondere a due domande: perché votare e per chi votare? Il voto è un’assunzione di responsabilità da parte della persona, un dovere, perché costituisce la modalità attraverso cui ognuno è chiamato a determinare la rappresentanza politica che governerà il Paese, seppur con una legge elettorale mortificante e degna del peggior monocratismo partitico. E’ un diritto, perché rientra nel concetto più esteso di libertà, quella di dare un contributo in forza dei propri ideali.



Sulla scelta dei partiti ai quali dare fiducia vi sono una serie di criteri essenziali dai quali non si può prescindere. Il primo è il principio di libertà. La politica deve consentire e non ostacolare la possibilità di vivere fino in fondo la propria esperienza ideale umana. A partire dalla “Libertas Ecclesiae”, ovvero la libertà di fede, senza condizionamenti, nelle forme e nei modi in cui essa si esprime nella società. Da qui, infatti, nasce poi la libertà di educazione, di pensiero, di azione e tutte le forme espressive del vivere umano. Il secondo criterio è legato al principio di sussidiarietà. Chi esercita il potere non può sostituire o, peggio ancora, mortificare le libere iniziative che nascono dal basso per rispondere ai bisogni della vita.

Al contrario, occorre dare spazio e incentivare queste esperienze, perché il protagonista dello sviluppo non può che essere il popolo nella sua forma di maggiore consapevolezza. Il nostro Paese, in questo senso, abbonda di creatività e ricchezze culturali, imprenditoriali, sociali, che hanno bisogno di trovare spazi per dar vita ad un nuovo “miracolo italiano”.   

Ogni concezione ideologica e programmatica di tipo statalista, dirigista, liberista (e non liberale) è profonda nemica della libertà e della sussidiarietà. E siccome principi e valori vanno di pari passo con le gambe degli uomini che li portano, siamo chiamati a valutare l’affidabilità della classe politica che si propone di governarci.

Qualsiasi leader che ha più a cuore l’affermazione di sé, con la pretesa di essere la salvezza del Paese, oppure che si muove primariamente per un tornaconto personale, non è affidabile, anche se ideologicamente affermasse principi liberali.

In questa grave contingenza storica vi è un’urgenza: la necessità di un vero confronto fra la tradizione cattolica, socialista e liberale per dare vita ad una nuova stagione riformista.

Penso, in particolare, a riforme che sostengano la partecipazione e il rischio di ogni singolo o gruppo per l’edificazione culturale, sociale ed economica del Paese. Mi riferisco ad una politica di riforme istituzionali, strutturali e sociali che liberino le energie e le risorse migliori, soffocate oggi da logiche di rendite di gruppi, di categorie e personali, figlie di un egoismo che è il vero “cancro” del nostro Paese. Il voto dimostrerà a che punto è la maturazione del popolo italiano, con la sua capacità di essere protagonista e di non soccombere in modo reattivo agli eventi.

Comunque andrà, ci sono dei brandelli di popolo che stanno già rischiando in termini liberi e responsabili nella costruzione di un bene comune. Ed è un cammino destinato a proseguire. Forti degli esempi che ci arrivano dalla storia: come l’esperienza del monachesimo benedettino, in cui viene dimostrato come l’intelligenza della fede possa diventare intelligenza sulla realtà, e come la grande testimonianza di libertà e, anche qui, di fede che ci offre Papa Benedetto XVI.