Dopo i primi risultati del voto del 24 febbraio e le prime proiezioni, ecco apparire la fotografia di un Paese in disgregazione. In un gioco di specchi infernale, si riflettono immagini e sequenze di una società, di vecchi e nuovi poteri, di una politica frammentata. Il successo del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo è solo un aspetto (anche se certamente il più esplosivo) della crisi italiana. Bisogna aggiungervi la completa assenza di grandi partiti, di grandi leader, che un tempo avevano garantito la stabilità all’Italia. Occorre mettere in conto il fallimento di questi ultimi anni, e in particolare di quest’ultimo, con la scelta fatta dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano di ritardare di tredici mesi il ricorso alle urne, lasciando che, nell’attuale situazione economica e sociale, l’esercito di chi contestava e urlava il proprio malessere sociale si ingrossasse, mese dopo mese, dato dopo dato economico, stima dopo stima sul crollo del Pil, dei consumi e dell’occupazione. Il professor Mario Monti, premier uscente, nominato senatore a vita, dopo essere “salito” in campagna elettorale si attesta, forse, intorno al 10%. Quando era partita la sua avventura della “salita in politica”, c’era chi lo accreditava di una potenziale “forchetta” tra il 20% e il 25%.
Giulio Sapelli, docente di Storia economica alla Statale di Milano, è un grande economista, che legge con rara acutezza la politica mondiale, non solo quella italiana. La conoscenza della storia, la capacità di lettura della politica e la sua grande competenza economica gli permettono di stilare un giudizio severo degli errori commessi: «Questo è il fallimento della politica del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Sono state le sue scelte che hanno portato alla disgregazione politica. La colpa non è nemmeno di Monti, che al massimo “viaggiava sempre in bicicletta”. La colpa è di Napolitano, che si è dimostrato subalterno alla logica del capitalismo finanziario. Certo, dopo la campagna elettorale che ha fatto, distribuendo epiteti a tutti i suoi concorrenti, Monti dovrebbe almeno dimettersi da senatore a vita».
Alcuni vedono una situazione caotica, parlano apertamente di caos. È uno scenario che corrisponde alla realtà ?
No, non siamo al caos, siamo alla disgregazione, che è cosa differente. Si è conclusa la stagione del bipolarismo. E su questo possiamo dire: finalmente. Siamo entrati in una fase tripolare. C’è il centrosinistra di Pier Luigi Bersani, che cerca di diventare un partito quasi tradizionale, c’è il centrodestra che si sta riorganizzando, e c’è questa terza forza, il Movimento 5 Stelle, il “partito invisibile”, il partito tecnologico, con un leader che poi, quando appare, sa riempire le piazze. A proposito di questo movimento si è sempre parlato, schematicamente e genericamente, di populismo, dimenticando che c’è stato anche un populismo animato dai sindacati, un populismo che ha saputo lanciare idee interessanti come il populismo americano. Il movimento di Grillo, piuttosto, appare come un partito bonapartista, che occhieggia a sinistra. Ci sono stati nella storia bonapartisti di destra e bonapartisti di sinistra. Grillo lo è di sinistra. Dietro a questi poli, c’è il partito-azienda, il partito della Fiat, creato dal professor Monti.
A proposito di Monti, come si può spiegare il modesto risultato ottenuto dalla sua lista?
Perché questo è veramente un partito-azienda, con in più una visione da vecchi azionisti: noi siamo intelligentissimi, siamo il partito della ragione, gli altri non capiscono nulla. Alla fine si vedono i risultati. L’unica cosa positiva è che Monti, di fatto, ha “ucciso” due personaggi come Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini.
Lei dice che siamo in una situazione di disgregazione e non di caos. Ma come se ne esce adesso?
Cominciamo a dire una cosa importante e tutto sommato positiva. Per chi ha vissuto, come me e come lei, gli “anni di piombo”, con tutti gli incubi che comportavano, qui non c’è nessuno che invita a sparare per le strade. Il movimento di Grillo ti invita a candidarti per il Comune, la Regione o per il Parlamento. E questo vuol dire che almeno il tessuto democratico tiene ancora. Le possibili soluzioni di una simile impasse? Due anni di governo di larghe intese, dove si devono fare poche cose: trattare una politica sostenibile con l’Europa e varare finalmente una riforma elettorale. E ciascuno deve rinunciare a qualche cosa nell’interesse di tutti, nell’interesse dell’Italia.
(Gianluigi Da Rold)