La ricerca di una soluzione è affannosa, una sorta di gioco a “mosca-cieca”, perché al momento non si sa dove andare a parare. Come si esce da questa “tempesta perfetta” della crisi politica italiana, mentre la Borsa crolla e lo spread ritorna a salire? A volte, come capita anche nella vita, non ci sono soluzioni possibili, anche se la politica è paradossalmente proprio “l’arte del possibile”. Il profilo e l’umore sono bassi. Basta guardare la conferenza stampa di Pier Luigi Bersani, che spiega che “non ci si può nascondere la drammaticità del momento”, dopo aver tenuto, per tutto il corso della campagna elettorale, un profilo dai toni soft, spesso rassicuranti. Il leader del centrosinistra – che “arriva primo ma non vince” – lascia per fortuna perdere il senno di poi, il “se Renzi fosse stato al suo posto” e altre ipotesi formulate oggi, quando ormai le urne sono state aperte, svuotate e i voti contati. Bersani riconosce che la crisi è profonda, che si accumula da tempo. E che la protesta e il disagio sociale sono arrivati a un livello di guardia. Stefano Folli, editorialista tra i più affermati e seguiti, ex direttore de “Il Corriere della Sera” e ora grande commentatore politico su “Il Sole 24Ore” non vede per ora soluzioni possibili. “Sono d’accordo sul fatto che a volte non ci sono soluzioni. Almeno al momento, io non riesco proprio a vederle, ad individuarle”.



C’è chi ipotizza un ritorno rapido alle urne…
Beh, in questo caso, sarebbe come alzare le mani, come dare il segnale di arrendersi. Sarebbe l’uscita peggiore. Anche se sono d’accordo con chi pronostica che la prossima legislatura non sarà di certo lunga.

Circolano altre ipotesi, tra cui quella di un “governo” di minoranza, che si regga su delle astensioni, con un programma concordato.
Mi sembra una strada molto complicata, molto difficile, e un traguardo difficilmente raggiungibile. Non credo proprio che si possa seguire una strada del genere, perché esporrebbe un simile governo a tutti i rischi possibili, su ogni punto in discussione, su ogni iniziativa da prendere.



Esaminiamo pure un’altra ipotesi, quella di un governo di larghe intese, un governo che in tempi brevi possa finalmente mettere mano alla riforma elettorale. E che affronti pochi problemi ma in tempi stretti.

Questa è una strada già più percorribile, anche se non è semplice, per nulla semplice. In questo momento direi che la si potrebbe definire meno assurda delle altre. Ma occorre affrontare diversi passaggi delicati.

Quali in particolare?
Innanzitutto c’è da affrontare la situazione del nuovo Parlamento. E poi, a mio parere, si deve congelare la nomina del nuovo Presidente della Repubblica. In questa difficile situazione Giorgio Napolitano assume infatti un ruolo importante e decisivo: deve garantire un governo, e per farlo deve avere la forza di trovare una strada alternativa, una via d’uscita.



Pier Luigi Bersani ha parlato solo martedì pomeriggio, tenendo una conferenza stampa: che impressione ne ha ricavato?

Sono rimasto deluso. Sento i dati della Borsa, sento gli occhi di tutta Europa puntati su di noi, vedo la realtà. Nella conferenza stampa di Bersani ho invece ascoltato un messaggio di scarsa iniziativa e ho percepito una vaghezza di iniziative che mi lasciano perplesso. Mi sembra che stia puntando a un governo di minoranza, quasi impossibile da realizzare. Non ha neppure parlato di riforma elettorale da affrontare subito, come scadenza prima e più urgente. Mi sarei poi aspettato che, di fronte a quello che è successo, Bersani parlasse di un reale rinnovamento del Partito democratico… Se queste sono le premesse, non c’è molto da sperare.

 

Come si è arrivati a questo punto? Si possono addebitare responsabilità precise?
Porsi questi interrogativi, è un esercizio inutile in questo momento. La crisi è di tale portata che si tratta di una somma di responsabilità. Il voto di questi giorni è frutto di tante cause: contro il sistema, contro l’inconsistenza dei partiti, e poi tutto il resto. Per spiegare quello che è accaduto, forse si deve risalire al 1992. Allora si fece avanti la Lega, che poi è fallita, ha deluso. In questi vent’anni è cresciuto un fiume di delusione, scontentezza che è uscito dagli argini. Possiamo usare qualsiasi metafora: quella della talpa che ha continuato a scavare sotto terra, oppure quella del detonatore… La sostanza della crisi però non cambia.

 

(Gianluigi Da Rold)