Verde sì, ma di rabbia. Fino all’altro ieri prima azionista interna del Carroccio, con il 35 per cento conseguito alle regionali 2010, la filiale veneta della Lega schiuma di fronte all’esito delle urne: dove cede oltre mezzo milione di voti rispetto alle politiche precedenti, con un salasso percentuale secondo solo a quello del malconcio Piemonte, e comunque superiore al 60 per cento. A rendere ancora più mortificante l’umiliazione, il fatto che nella graduatoria delle dieci province del Nord con le perdite più elevate, sei su dieci siano venete; e ancor più che venete siano le prime cinque. Con un indizio che sembra fatto apposta per rinfocolare le polemiche che già serpeggiavano prima del voto: il calo percentuale più elevato di tutta Italia si è verificato a Verona (meno 19,3), vale a dire il feudo di Flavio Tosi, eletto segretario regionale del Carroccio nello tsunami legato alla defenestrazione di Umberto Bossi e dei suoi pretoriani.
I numeri sono di una chiarezza esemplare. In Veneto, la Lega aveva affiancato il Pdl alle politiche 2008, per poi sorpassarlo alla grande nelle regionali 2010, toccando la cifra-record del 35 per cento; Treviso, la terra del neo governatore Luca Zaia, era diventata la provincia più verde d’Italia, sfiorando addirittura il 50 per cento. Una perdita consistente era attesa, non il tracollo. Che non ha risparmiato nessun luogo, incluso il paese stesso di Zaia, Refrontolo, crollato dal 62 al 24 per cento, appena sette decimali in più del risultato conseguito dai grillini. Che diventano il primo partito in tutte le province venete, con la sola eccezione di Rovigo dove prevale il Pd.
Così il Carroccio, nelle classifiche interne del movimento, torna a essere scavalcato da una Lombardia pure a sua volta in calo. Insomma, ci sono tutti gli ingredienti per alimentare una resa dei conti che, tenuta sotto coperta alla vigilia del voto per spirito di corpo, è già venuta a galla nelle prime ore seguite allo spoglio.
A guidare una forte richiesta di verifica è Zaia in persona. Se prima del voto il governatore si era tenuto defilato, rifiutando l’invito di chi lo esortava a guidare la schiera degli anti-Tosi, subito dopo è uscito allo scoperto in modo inequivocabile. Senza chiedere la testa del segretario veneto (“niente vendette”), ma mettendone in discussione le scelte. Due, soprattutto, le critiche: “Ha sbagliato nella preparazione delle liste: l’avevo invitato a ricucire l’unità interna, invece ha deciso in proprio e oggi ci ritroviamo più spaccati di prima. E ha messo in campo l’idea di un nuovo contenitore politico che vada oltre la Lega tre giorni prima del voto”.
Zaia non chiede teste, però…: “Tosi aveva e ha i numeri per fare il segretario, ma forse dovrebbe fare solo quello”. E mette in campo una richiesta forte, rivolta direttamente a Maroni deciso a dimettersi da segretario federale dopo la vittoria alle regionali lombarde: “Deve restare alla guida del partito, in questo momento abbiamo assoluto bisogno di una figura di garanzia come la sua”. Ma altri nel Carroccio veneto sollecitano alla convocazione di un congresso regionale straordinario, in cui si voti anche sul segretario.
Chiamato in causa, il diretto interessato non si scompone di fronte all’offensiva annunciata: “Chi fa sbaglia. Ma io resto sereno perché l’obiettivo numero uno per la Lega era portare Maroni alla guida della Lombardia, e così è stato. Quanto al risultato veneto, è in linea con quello delle altre regioni. C’è chi vuole un congresso straordinario? Lo chieda nelle sedi opportune, non attraverso i giornali, e ne parleremo”.
I tempi comunque stringono, anche perché a maggio si voterà in due Comuni strategici per la Lega come Treviso e Vicenza. E nel movimento, al di là della contrapposizione tra Tosi e Zaia e degli strepiti degli ultimi pretoriani di Bossi, la diffusa base dei sindaci e degli amministratori locali leghisti invita a parlare di cose concrete, vale a dire dei problemi della gente comune. Quella che ha appena girato le spalle al Carroccio, per affidarsi a Grillo.