“Via l’Imu sulla prima casa, risarcimento in posta dell’Imu pagata nel 2012, via l’Irap in 5 anni, via il finanziamento pubblico ai partiti”. Sono queste le proposte di Silvio Berlusconi, annunciate ieri nell’ex Fiera di Milano. “Anche un imbecille è in grado di inventare nuove tasse, soltanto chi è intelligente sa ridurre le spese”, ha aggiunto Berlusconi. Ilsussidiario.net ha parlato di queste proposte con l’economista ed ex ministro delle Finanze Francesco Forte.
In che modo Berlusconi riuscirà a mantenere le sue nuove promesse?
Quello presentato da Berlusconi è il programma più intelligente e più serio nell’attuale panorama politico. Chi afferma che tutto questo sarebbe fantasia, ignora che il condono svizzero, pur non rendendo 5 miliardi di euro l’anno in modo permanente, sicuramente ne rende 3,5. E’ quindi perfettamente compatibile con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, che costa questa stessa cifra, e con la restituzione dell’imposta versata nel 2012. Anche se il condono svizzero non rendesse 35 miliardi, ma per esempio 28, consentirà comunque di attuare le promesse sull’Imu.
Che cosa ne pensa della promessa di abolire l’Irap nell’arco di cinque anni?
E’ una proposta della quale rivendico la “paternità”, in quanto a suo tempo la depositai al gruppo parlamentare del Pdl, per poi ripresentarla in diverse occasioni tra cui anche di fronte a Confindustria. L’Irap sarebbe trasformata in due addizionali. La prima è l’imposta sulle società, per un valore del 4,5%, con la conseguenza di impegnarsi a ridurre di altrettanto l’imposta dello Stato, in modo che alle regioni rimanga lo stesso gettito. La seconda addizionale che nascerebbe dall’Irap sarebbe relativa ai costi del lavoro, sempre del 4,5%, con l’obbligo per lo Stato di ridurre questo onere sempre nell’arco di cinque anni.
In che modo sarebbe possibile compensare i costi del taglio dell’Irap?
Questo onere si può ridurre in parte mediante il fatto che l’imposta sarebbe pari al 27% complessivo e si detrarrebbe il costo del lavoro trasformato in contributo sociale, sia dalla tassazione dello Stato che da quella degli enti locali. In questo modo il 27% di questo onere del 4,5% sarebbe eliminato. Il restante 3% sarebbe eliminato mediante la riduzione degli oneri sociali extra pensione. E’ inoltre possibile una revisione dei contributi Inail, che sono diventati eccessivi, e prendendo inoltre una quota dai contributi per la cassa integrazione, che può essere in parte trasformata in indennità di disoccupazione a carico dell’erario. Il risultato generale sarebbe quello di abolire l’Irap, lasciando però, a differenza di quanto avviene nell’attuale schema, alle Regioni il finanziamento della sanità e la possibilità di manovrare questo tributo in un’ottica federalista.
E quindi?
Ciò genererebbe una riduzione del costo del lavoro del 4,5%, e un abbassamento della tassazione del reddito delle imprese che è estremamente importante. Per le imprese internazionali si tratta di una cifra estremamente elevata, perché con l’attuale normativa non possono detrarre il contributo Irap del costo del lavoro dall’imposta personale sul reddito, mentre così potrebbero farlo.
Berlusconi è stato capo del governo per tre volte, ma non è stato in grado di ridurre la spesa pubblica. Perché dovremmo credergli quando promette di abbassare le tasse?
In primo luogo questo non è esatto. Risulta dalle analisi che una riduzione della spesa pubblica è stata attuata, ma quest’ultima è poi aumentata quando è incominciata la congiuntura negativa. Nel 1995 Berlusconi propose una riforma strutturale delle pensioni, tramite la quale la spesa pubblica si sarebbe ridotta in modo significativo. In tutta risposta la Cgil organizzò uno sciopero generale, con rovesciamento del governo e la sua sostituzione da parte di Lamberto Dini. Non è quindi vero che Berlusconi non tentò di abbassare la spesa pubblica, ma fu sconfitto perché aveva provato a farlo. Allo stesso modo, in passato ha già mantenuto la promessa di ridurre le tasse, in quanto ha abolito l’Ici sulla prima casa. Così come, grazie alla legge Biagi, ha mantenuto quanto promesso nel contratto con gli italiani dove si parlava di introdurre un milione di nuovi posti di lavoro.
(Pietro Vernizzi)