Se i sondaggi dicono il vero, il centrosinistra vince le elezioni. Se poi riuscirà a governare, considerando che va delineandosi un Senato privo di maggioranza, a causa di una legge elettorale che conferisce il premio su base regionale, è un altro paio di maniche. Sta di fatto che prestare attenzione alle linee programmatiche del Pd è fondamentale per capire che prospettive potrebbero prefigurarsi. Intervenendo in un incontro pubblico a Biella, Bersani, in estrema sintesi, ha spiegato: «Bisogna ottenere in Europa una parte di investimenti non calcolati sul deficit; ricavare un po’ di margini dalla riduzione dei tassi; vendere immobili pubblici, ma senza ipotizzare cifre mirabolanti come ha fatto Brunetta; intervenire sulla spesa pubblica, più con il cacciavite che con l’accetta; migliorare la “fedeltà fiscale”». Abbiamo chiesto a Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, come considera i cinque punti di Bersani per rilanciare l’economia e l’occupazione.
Sarebbe opportuno chiedere che alcune spese per gli investimenti vengano rimosse dal calcolo del deficit?
E’ una sciocchezza che denota un’attitudine estremamente pericolosa. Il rapporto debito/pil determina nei mercati la credibilità o meno di un paese (quindi gli spread); tale credibilità non dipende dalla natura della spesa, come nei modelli teorici, ma, semplicemente, dall’entità del suddetto rapporto. Ovvero, dalla fiducia avvertita dagli altri rispetto alla capacità di onorare i propri debiti. Non importa se si trova un artifizio per non introdurre alcune voci nel computo finale. Sta di fatto che la spesa aumenta. Oltretutto, posto che un qualche effetto positivo possa prodursi, sarebbe sfasato nel tempo. Nell’immediato, nessuno garantisce che l’aumento del debito non genererà ulteriori problemi.
Lei cosa suggerisce?
Si dovrebbe, casomai, ricorrere in ampia misura al finanziamento privato attraverso la cosiddetta public private iniziative, il sistema adottato dai laburisti inglesi. Gli investimenti, cioè, possono essere in gran parte azionati mediante l’iniziativa privata, magari concedendo limitate sovvenzioni pubbliche. Tra le iniziative private si può contemplare anche un intervento della Cassa depositi e prestiti. In definitiva, l’impostazione di Bersani e dirigista, illusoria, e non tranquillizza i mercati.
Bersani ha avanzato, inoltre, l’ipotesi di ampliare i margini riducendo i tassi.
Si parla, anzitutto, dei tassi di interesse del debito pubblico dai quali dipendono, a loro volta, i tassi d’interesse applicati al credito erogato dalle banche. Si tratta di due elementi profondamente legati: se i titoli di Stato, a causa dello spread, offrono interessi estremamente vantaggiosi per chi li acquista, le banche saranno costrette ad emettere obbligazioni altrettanto vantaggiose, con tassi superiori a quelli dei titoli di Stato. A quel punto, non avranno più risorse per erogare finanziamenti a buon mercato.
Secondo lei, quale potrebbe essere la strategia del segretario del Pd?
Temo che intenda ridurre i tassi con la suddetta politica cadendo, quindi, in contraddizione. Gli interessi calano se il sistema delle banche e quello dell’economia pubblica sono credibili. Ovvero, se non si preannunciano imposte patrimoniali, se non ci sono scandali come quello di Mps, e se non aumenta il debito. Non dimentichiamo che dall’orizzonte di Bersani è assente il potenziamento del credito all’economia, notoriamente molto più decisivo per la crescita delle politiche sui tassi del debito pubblico.
Rispetto alla vendita del patrimonio pubblico, poi, le cifre di Brunetta sono realmente mirabolanti?
Niente affatto. Anche perché sono le mie… Si tratta di stime contenute in un piano realizzato assieme a personalità quali Paolo Savona o Rainer Masera, e basato sui calcoli effettuati dal Tesoro tramite l’ufficio studi della Cassa depositi e prestiti. Si tratta di 180 miliardi di euro, provenienti non tanto dagli immobili quanto, soprattutto, dalla vendita di concessioni a lungo termine di beni demaniali, dalla messa sul mercato di quote di società quali Anas, Fs o le municipalizzate, e da operazioni di swap (ovvero la conversione di titoli di debito in quote di beni o quote azionarie).
Cosa significa tagliare la spesa pubblica con il cacciavite e non con l’accetta?
Considerando che storicamente, per il Pd, realtà come la scuola o la sanità non possono essere altro che pubbliche, mentre il privato va sempre e solo guardato con sospetto, l’espressione di Bersani sottende l’intenzione di lasciare, in realtà, tutto inalterato.
Sul fronte delle tasse, infine, ha parlato del miglioramento della fedeltà fiscale.
Prima della fedeltà, sarebbe meglio parlare di equità fiscale. E smetterla di sbeffeggiare il condono fiscale proposto da Berlusconi rispetto ad Equitalia, un’agenzia che, oltre alle tasse, fa pagare gli interessi sulle tasse, le more sui mancati pagamenti, e gli interessi sulle more arrivando, in certi casi, a moltiplicare in maniera disinvolta, indiscriminata ed erronea gli importi iniziali. Detto questo, la fedeltà dovrebbe essere applicata, anzitutto, dal Fisco nei confronti del contribuente: evitando di scrivere norme incomprensibili, nebulose o retroattive, di pretendere il pagamento delle rate di un’imposta prima di conoscerne l’aliquota, o di dare la caccia all’evasore colpendo i cittadini onesti.
(Paolo Nessi)