Sono passati già alcuni giorni dai risultati elettorali e forse ora riesco a vedere con più serenità ciò che è accaduto e sta accadendo in questo momento nel nostro Paese. Mi aspettavo il successo elettorale di Grillo, anche se non proprio nelle proporzioni che ha avuto, ma ciò che mi ha progressivamente indotto a riflettere e anche a rimettere in discussione le mie convinzioni è la costatazione che moltissimi miei amici di differenti regioni e aree sociali hanno convintamente votato Grillo e lo rifarebbero senza alcun dubbio. Anzi, discutendo con loro e cercando di contrastare la loro visione ottimistica secondo la quale il M5S ha inaugurato una nuova epoca e può produrre un’autentica rivoluzione dei rapporti sociali, sono stato preso anche io dal dubbio di opporre per antichi pregiudizi resistenza all’irruzione del nuovo nella forma magmatica di un movimento. Dopo essermi sforzato di praticare il massimo di autocoscienza tuttavia sono ritornato alle mie conclusioni che intendo rendere pubbliche nella speranza che sia possibile ancora una discussione seria sulla realtà.
Anzitutto ritengo che Grillo sia un personaggio pericoloso con un carattere fortemente autoritario, con tendenze persecutorie e una carica non espressa di risentimento. Il rapporto che egli intrattiene con i suoi seguaci e con i suoi lettori è sotto ogni profilo peggiore di quelli che sono tipici delle esperienze populistiche del passato. Nonostante le declamate piazze piene di gente, Grillo non crea collante tra i suoi seguaci e tendenzialmente non desidera che essi diano vita a gruppi effettivi di persone ma a terminali individuali dei suoi comandi telematici. Oltre l’enigmatico rapporto con il mentore Casaleggio non appare mai in un contesto dove sia all’opera con un gruppo di collaboratori. Per principio rifiuta l’incontro con chi non la pensa come lui e ripete condanne a morte senza alcun processo e alcun giudice. Non risulta che da qualche parte del suo dominio telematico si sia realizzato anche virtualmente un forum di discussione.
Proprio queste modalità di trasmissione del suo pensiero politico ai seguaci mi inducono a ritenere che il M5S non sia un movimento e che sia anzi sbagliato sotto ogni aspetto attribuirgli questa qualifica. Uno dei connotati dei movimenti che si sono sperimentati nella storia è dato dalla forte presenza fisica degli aderenti che stando insieme con i loro corpi fanno emergere uno spirito e un sentire talmente unitario da dare la sensazione di trovarsi di fronte a un solo corpo. Un movimento senza la fisicità dei corpi che si trovano a vivere insieme l’esperienza esaltante della fusione emotiva, che produce anche l’acclamazione del capo, non si può registrare nella -per definizione non autentica- virtualità della comunicazione di rete. Nella rete ciascuno di noi non è mai sicuro di incontrare un altro che corrisponde a ciò che dichiara di essere. 



Proprio per questo credo che il cosiddetto M5S sia esclusivamente una realtà digitale i cui connotati non possono essere colti con le categorie del populismo e della rivoluzione. In un recente articolo, apparso prima delle elezioni su Repubblica, Ulrich Beck ha proposto di definire l’epoca attuale come quella del “capitalismo digitale” dove si forma un ego feroce assolutamente slegato da ogni vincolo e orientato esclusivamente all’incremento del proprio godimento autoreferenziale. La rappresentazione del capitalismo digitale avrebbe secondo Beck devastato la realtà, la consistenza delle persone e la stessa idea di natura producendo enti artificiali che si sviluppano secondo una logica di puro piacere fantasmatico. I movimenti reali invece sono stati sempre caratterizzati da una gioiosità immanente nel trovarsi fisicamente insieme e inventando momento per momento cori, canzoni, slogan e sventolii di bandiere.
Se si prova a chiedere invece a un aderente al grillismo cosa lo spinge a dare il suo voto al simbolo delle cinque stelle, ci si sente rispondere sempre alla stessa maniera che l’oppressione della casta, dell’establishment, dei partiti, dei sindacati è ormai insopportabile e che perciò in primo luogo bisogna cancellare ogni traccia della loro esistenza. Ciò che unisce i vari atomi della rete digitale è un unico desiderio di negazione totale. Anche le parole adoperate da Grillo “arrendetevi, arrendetevi, siete tutti morti, dovete scomparire dalla scena…” hanno l’intonazione funesta di chi sta preparando i roghi su cui bruciare persino le spoglie dei nemici. Ma anche il rogo dove vengono bruciati il palazzo e i suoi servi è stranamente virtuale e privato. Non c’è nulla di tragicamente sanguinante ma soltanto uno scossone al caleidoscopio sul quale ciascuno ha fissato lo sguardo per vedere le combinazioni dei colori. Non è un caso che l’espressione più adatta per descrivere i seguaci di Grillo sia quella di “moltitudine” e che non sia possibile usare nessuno dei termini con cui sono stati sin ad ora descritti eventi collettivi come associazione, partito, gruppo, ecc. Il movimento di Grillo non produce nessun evento collettivo ma una somma di eventi privati telediretti per via esclusivamente mediatica. In questi termini il fenomeno interessa più l’antropologia di una possibile robotizzazione degli esseri umani ma non certo la politica come consapevole progetto di convivenza. 
Naturalmente queste conclusioni non devono indurre a sottovalutare tutto ciò che affiora in questo magma dagli strati più profondi della psiche degli uomini e delle donne che hanno votato per Grillo. So bene che si tratta di donne e uomini che hanno raggiunto un livello estremo di solitudine e disperazione, che hanno subito una violenta esclusione dal sistema vigente, sia come lavoratori che come cittadini, e che sentendosi ogni giorno più poveri e abbandonati hanno coltivato risentimento e rabbia. Sono convinto che questo problema dell’inconscio che accomuna oltre la frantumazione di superficie i milioni di voti che Grillo ha ricevuto, è ciò con cui bisogna davvero confrontarsi. Senza una vera capacità di intercettare questo livello più profondo del risentimento sociale e della disperazione solitaria, il Paese andrà sicuramente verso una catastrofe totale. Ma proprio per questa drammatica situazione effettiva di scollamento e distruzione del tessuto connettivo ritengo che bisogna opporsi a Grillo con tutto ciò che è possibile mobilitare per rompere l’incantesimo in cui si sono lasciati attrarre tanti nostri amici e compagni. 



Le strade da percorrere sono abbastanza obbligate. Bisogna anzitutto continuare a chiedersi perché Berlusconi e il berlusconismo riescono ad avere ancora tanto successo. Anche in questo caso la tenace negazione della verità e della realtà è alla base di un’adesione che lascia stupefatti. Credo che sia proprio difficile riuscire a immaginare un capo del governo peggiore di Berlusconi. 
Nonostante la sua faccia di plastica sia riuscita per certi versi a cancellare le tracce di un vero volto umano, i suoi gesti, i suoi sorrisi, le sue battute sono semplicemente ripugnanti. È difficile infatti non associare il suo concitato agitarsi nelle varie sedi alla quantità ormai insuperabile di fatti, eventi, comportamenti che dovrebbero spingere ciascuna persona ragionevole a rifiutare il proprio consenso a un tale personaggio. Esibizione sfacciata della propria vita sessuale privata, coinvolgimento delle istituzioni nella promozione pubblica di candidate che per il solo fatto di essere a lui legate sono state elette al parlamento e sono divenute titolari di importanti ruoli istituzionali. Il suo sputtanamento mediatico, certamente gestito da nemici e avversari, è infatti conseguenza di comportamenti reali, capaci da soli di mostrare una continuità tra la sua alcova privata e la stanza del palazzo dove si è riunito il governo da lui presieduto. Sotto ogni profilo Berlusconi è un personaggio indecente. 
Perché allora tanti lo votano ancora e accorrono ai suoi appuntamenti pubblici con folle osannanti? Anche in questo caso bisogna andare a fondo oltre la superficie degli interessi materiali e delle convenienze opportunistiche. Gli elettori di Berlusconi sono un altro pezzo dell’Italia perduta che sotto l’effetto anestetizzante dello spettacolo ha rimosso ogni pudore anche delle proprie più perverse fantasie. L’identificazione proiettiva con una figura visibilmente oscena può spiegarsi soltanto con una vera e propria perversione dell’immaginario collettivo in cui il sogno delle notti di Arcore compensa la miseria frustrante della vita quotidiana. Non il risentimento dei grillini ma la frustrazione dei propri torbidi desideri è alla base della persistenza dell’anomalia berlusconiana. Nella nostra società c’è troppo sesso esibito e poca realizzazione delle proprie fantasie e dei propri desideri. La frustrazione non consapevole induce alla coazione a ripetere sperando sempre che la prossima volta sarà quella giusta: i frustrati del berlusconismo sono vittime dell’incantesimo della coazione a ripetere. 
Resta da chiedersi a questo punto come mai il centrosinistra non abbia saputo intercettare questi sentimenti per trasformarli in consenso al proprio progetto e alle proprie proposte. Purtroppo la risposta deve essere altrettanto dura quanto le altre. Il Pd non è diventato un partito ma una somma di strati e di microsistemi spesso non comunicanti fra loro e privi di amalgama vera. Già il fatto che subito dopo il risultato elettorale Veltroni e D’Alema abbiano rilasciato interviste prendendo le distanze dal segretario, e che molti capicorrente come Fioroni abbiano convocato i propri gruppi, è il segno più vistoso del cinismo e dell’immoralità politica di troppi esponenti della nomenclatura del Pd. Si sarebbe detto una volta “più nemici interni e più pericolosi di quelli esterni”. Durante la campagna elettorale si è intuito da molti segni che una parte del gruppo dirigente del Pd auspicava un nuovo governo Monti e una nuova grande coalizione. 



L’insistenza perniciosa con cui si è invitato Bersani a liberarsi di Vendola e a stringere al più presto un’alleanza con i moderati (che come si è visto non esistono) è stata l’anticamera della sconfitta perché ha reso opaco il messaggio del centrosinistra. Il coro dei personaggi che sono stati mobilitati anche per interventi sulla stampa del partito, ha fatto pesare in modo insopportabile la persistenza del vecchio lessico politico, mentre è mancata totalmente una seria analisi di ciò che bolliva nella pancia degli italiani. 
Tranne Achille Occhetto nessuno, dopo la scomparsa di Berlinguer, ha pagato qualche prezzo per gli errori politici commessi, a riprova del carattere sostanzialmente oligarchico della conduzione del partito, nonostante le svolte e i cambiamenti di nome. Non è stato costruito sul territorio quel laboratorio vivente che è rappresentato dall’effettiva e vivace partecipazione degli iscritti al partito. Sebbene nello scenario che abbiamo descritto il Pd appaia assai meno compromesso nella corruzione culturale, morale e politica di questo Paese, non è pensabile che esso possa ritornare in campo come una vera forza unificante del Paese, capace di aprire anche in Europa un nuovo fronte, senza uno spietato lavoro autocritico. Il Pd continua a convogliare su di sé gran parte dei ceti meno giovani che sono abituati a fare i conti con la realtà e con il buon senso, ma non si può fare politica soltanto con il buon senso senza dare una prospettiva anche di lotta a chi chiami a seguirti sulla strada prescelta. C’è una stagione della vita in cui conta il buon senso, ma ce n’è un’altra che è decisiva per il futuro di un Paese costituita dal vitalismo convulso delle generazioni più giovani, delle loro emozioni e dei loro desideri. 
Nel Pd è completamente mancata la coniugazione del buon senso con la speranza del cambiamento, perciò nonostante le tante declamazioni moltissimi non hanno creduto che il centrosinistra volesse davvero voltare pagina rispetto a questa seconda Repubblica che ha profondamente devastato ogni elementare moralità degli uomini, delle donne, delle ragazze e dei ragazzi. Credo che sia necessario andare al più presto possibile alle elezioni ed evitare qualsiasi ennesimo pasticcio che significherebbe soltanto rimandare un’inevitabile resa dei conti tra chi ha interesse ad alimentare il risentimento e la rabbia e chi pensa invece che sentimenti di questo tipo abbiano soltanto sbocchi distruttivi. A questo punto l’Italia non va più rappresentata soltanto in parlamento ma ricostruita nelle sue basi elementari: educazione, civiltà del confronto, fiducia negli altri e rispetto della verità. Naturalmente su questo compito di ricostruzione non è ipotizzabile nessun passaggio di governo tecnico che servirebbe soltanto a mantenere l’equivoco sul ruolo che la politica vera ha nella gestione di un paese moderno.