Caro direttore, è vero, come un po’ tutti dicono in questi giorni, che dopo il voto del 24 febbraio la confusione regna sovrana o che, citando il famoso detto, “la situazione è grave ma non è seria”.
Eppure credo si possa dire, per tanti di noi, che le elezioni siano state una grande occasione per capire meglio cosa stia accadendo in Italia e in Europa e che ancor più chiara sia diventata la assoluta necessità di una radice e di una impronta cristiana nella vita politica.
Non si intravede una prospettiva di stabilità e crescita dopo un voto, che ha scatenato timore e sconcerto in tutta Europa. E’ innegabile infatti che, pur non essendoci un partito vincitore, un sentimento dominante esiste ed è alla base della stragrande maggioranza di chi ha votato: la paura di perdere quanto abbiamo avuto finora, il discredito verso la attuale classe dirigente, l’oscurità del futuro.
Mentre in Italia si cerca di metter su un qualche governo, in gran parte dell’Europa si mette in discussione il cuore della esperienza dell’Unione: la politica monetaria e la politica fiscale. Ed è difficile immaginare quale possa essere la prossima svolta nel percorso di coesione europea.
Gli Italiani hanno votato sotto l’onda emotiva di una crescente insicurezza economica, di una progressiva riduzione del lavoro, ma anche di una pressante richiesta di austerità che inevitabilmente è inaccettabile se slegata da una certezza. Chi di noi è indisponibile ad
un sacrificio, anche grave, se ne conosce il fine buono, come nel caso della sorte di un figlio, di un amico e soprattutto di se stesso? Chi si oppone ad una richiesta in tal senso, se a farla è un padre autorevole? Questo, appunto, è il problema più grave. Il recupero di autorevolezza della politica e il risveglio culturale del popolo.
Il percorso può essere lungo e difficile, ma è necessario intraprenderlo con una fondamentale chiarezza di obiettivi.
La riduzione del debito pubblico in Italia è necessaria, così come è necessario un allentamento della pressione fiscale. Ma occorre dire la verità alla gente: questo potrà accadere solo accettando di rinunciare ad alcuni piccoli o grandi privilegi. La crescita economica è possibile, ma è necessario un deciso passo avanti nella innovazione, nella ricerca, nella istruzione e formazione: gli investimenti pubblici devono essere orientati in questa direzione, diminuendo il carico di spesa indotto dall’apparato amministrativo. Alcune riforme sono necessarie anche se
dolorose.
La questione dei valori etici deve essere affrontata: vita, famiglia, educazione non possono rimanere nell’ombra dei programmi di partito per paura di scontentare qualcuno. E forse occorre anche guardare ad essi senza attribuirli pregiudizialmente ad una o all’altra fazione: la responsabilità personale permette di stringere alleanze trasversali forse più efficaci dei legami interni agli schieramenti.
Infine la Sussidiarietà, principio cardine della tradizione cattolica. E’ venuto il momento di ammettere che non è più patrimonio diffuso nella nostra gente: ha avuto più voti chi ha promesso assistenza e non libertà. Per ricostruire la società invece è necessario più spazio all’iniziativa e al rischio personale.
Tutto ciò indica una prospettiva inevitabile. La cultura cristiana non è maggioritaria tra noi e chi intende avventurarsi, o restare nell’avventura, in politica sa che la strada è tutta in salita. Ma il fascino della cima è più avvincente della fatica.
E’ inevitabile a questo punto rispondere alla domanda su quale sia il partito in cui sia possibile attuare questo tentativo. Ma non credo che esistano risposte certe. La mia e quella di tanti altri in questa occasione è stata quella di interrompere la sudditanza rispetto ad un partito che consiste unicamente nella capacità del leader di attrarre voti, ma che non ha la forza di costruire un progetto credibile in tutto il Paese. L’esito elettorale non induce ad alcuna illusione sul futuro, ma a maggior ragione è necessario tenere vivo il problema e rischiare un percorso che recuperi la tradizione confluita nel Partito Popolare Europeo.
La crisi dei cristiani in politica non è meno grave della crisi del cristianesimo nella società europea. E forse vale la pena ricordare che Benedetto XVI, che a Cagliari nel 2008 aveva esortato alla nascita di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica, ha detto recentemente: “Non dimenticate mai che il primo atto di amore che potete fare verso il prossimo è quello di condividere la sorgente della vostra speranza: chi non dà Dio dà troppo poco”.