Piove sul bagnato. Se fosse per Giorgio Napolitano la grana giustizia se la sarebbe tranquillamente risparmiata. Invece non ha potuto sottrarsi alla richiesta di udienza venuta dai vertici del Pdl. Ne andava della sua terzietà in un momento già di per sé istituzionalmente delicatissimo. Ma ad Alfano, Cicchitto e Gasparri non potrà offrire altro che un caffè e la sua massima attenzione, richiamando ciascuno dei poteri dello Stato a rimanere nell’alveo proprio, segnato dalla Costituzione.
Alfano e i suoi accompagnatori discenderanno dal Colle dopo aver incassato un’attenzione mediatica elevata, ma ben pochi risultati concreti. Soprattutto per loro l’allarme rosso accesosi intorno all’offensiva giudiziaria contro Berlusconi non potrà certo dirsi spento. Allarme per la verità tutt’altro che imprevisto, dal momento che quasi tutti i processi berlusconiani avevano conosciuto una stasi in tempo di campagna elettorale, così da evitare troppe polemiche. Una stasi che era chiaro fosse destinata ad essere di breve durata.
Per alcuni dei procedimenti è corsa contro il tempo per evitare la prescrizione, per altri, come il processo Ruby, la prescrizione è lontana e una condanna potrebbe costituire un colpo mortale al Cavaliere redivivo dopo l’insperato risultato elettorale del 24 e 25 febbraio. In più si è aperto all’improvviso il fronte napoletano dell’inchiesta sul voto di scambio che ruota intorno alle giravolte del senatore Sergio De Gregorio, con la richiesta di giudizio immediato su cui pende la possibile incompetenza territoriale, visto che un’analoga inchiesta era già aperta da tempo a Roma.
Su ciascuno di questi fronti il Cavaliere ricoverato al San Raffaele darà sicuramente battaglia assistito da batterie di avvocati, com’è suo diritto di cittadino. È sul versante politico che però la situazione si fa sempre più ingarbugliata. Una sensazione di lento strangolamento che ha spinto il centrodestra ad alzare i toni dello scontro sino a sollevare un vero e proprio conflitto istituzionale plasticamente rappresentato dalla marcia dei parlamentari sul palazzo di giustizia meneghino, ai loro occhi principio e fine di tutti i mali del berlusconismo.
La situazione del Pdl è in questo momento paradossale: ha sfiorato la vittoria elettorale, ma rischia di rimanere fuori dal gioco politico per una doppia conventio ad excludendum, quella del Pd e quella dei grillini. Ma il rischio più grande è quello di essere privato per via giudiziaria del suo leader, che si è dimostrato unico ed insostituibile, nonostante la veneranda età di 76 anni (77 a settembre).
Il tallone d’Achille del centrodestra è proprio quello di non aver un Berlusconi di ricambio, né di lavorare alla costruzione di una leadership alternativa, forse anche per colpa del Cavaliere che non ama certo chi cerca di fargli ombra. Scatenare l’inferno contro la magistratura diventa allora una scelta obbligata per difendere con il proprio fuoriclasse anche la ragione sociale. E in questo braccio di ferro con le toghe il fattore tempo può diventare determinante. Dal momento che il Pd appare tetragono nel suo no all’offerta di una convergenza nell’interesse del paese intorno ad un esecutivo di larghe intese (o “del presidente”, questione poco più che nominalistica), il Pdl non può che puntare sull’immediato ritorno alle urne.
Gli ultimi segnali di fumo che democratici e grillini si scambiano fanno supporre che gli uomini di Berlusconi non saranno coinvolti né nella scelta dei presidenti delle Camere, né in quella del successore di Napolitano al Quirinale. E allora meglio puntare tutto sul voto anticipato a giugno per tentare il tutto per tutto: il candidato premier – Alfano lo ha già fatto capire – sarebbe ancora Berlusconi, che picchierebbe duro tanto sull’irresponsabilità dei rappresentati di Grillo, cercando di scavalcarli nella corsa dell’antipolitica, quanto sulla miopia di Bersani e compagni, su cui cercherà di far ricadere la responsabilità di non aver voluto un’intesa alta e nobile. Il tutto condito con l’aura del perseguitato politico. Uno scenario pressoché perfetto per condurre una campagna elettorale tutta all’attacco. Sempre che la magistratura non arrivi prima a impedirgli di continuare la sua battaglia.