Altro che traditori e franchi tiratori. L’elezione di Pietro Grasso alla presidenza del Senato, eletto con i voti di una ventina di parlamentari grillini, non è stata il frutto di una defezione all’interno dell’M5S. Sergio Puglia, neosenatore del movimento, confessa su Facebook, come riporta Dagospia, che era tutto concordato, studiato nei minimi dettagli attraverso una complicata strategia volta, anzitutto, a scongiurare la rielezione di Renato Schifani. Il suo gruppo parlamentare aveva stabilito, in sostanza, che alcuni votassero Grasso, altri scheda bianca, e altri ancora il proprio candidato, Luis Orellana. Il timore era che i senatori montiani, intenzionati a votare anch’essi Grasso, decidessero all’ultimo di rimangiarsi la parola e votare Schifani. Sarebbero bastati 8 dei loro voti, ha calcolato Puglia, per rieleggere il senatore pidiellino. Una versione che contrasta decisamente con quella del capogruppo del partito di Grillo a Palazzo Madama, Rocco Crimi, secondo il quale, in realtà, si è trattato di semplici casi di coscienza, persone che hanno deciso di votare contro quanto era stato deciso nell’ambito delle votazioni interne al partito. Ma Puglia non ci sta e rilancia la sua tesi, giurando che si è trattato di una mossa concordata, finalizzata ad eleggere il meno peggio e, contestualmente, far valere i propri voti, ribadendo che il loro candidato era comunque Orellana. Grillo, dal canto suo, continua a urlare al complotto, e, invitando i senatori grillini che hanno votato Grasso ad “autodenunciarsi”, afferma che l’elezione dell’ex procuratore nazionale antimafia era ormai certa. Metterla in dubbio è stato un modo degli altri partito per spaccare l’M5S. 



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