In cuor suo Giorgio Napolitano spera che Pier Luigi Bersani si convinca da solo e non insista. Il braccio di ferro va avanti da giorni, e durerà sinché il presidente della Repubblica ed il leader del Partito Democratico non si troveranno faccia a faccia nello studio alla Vetrata del Quirinale. Quello sarà il momento della verità, quello in cui Bersani dovrà dire chiaro a Napolitano se insiste nel chiedere l’incarico di formare il nuovo governo oppure se ne ha avuto abbastanza e si è rassegnato a fare un passo indietro.
Poche storie: i numeri per un governo di sinistra, almeno al Senato, non ci sono. I grillini hanno eretto un muro invalicabile, e il voto su Grasso ha avuto l’effetto di ricompattare le loro fila, e gli uomini a 5 Stelle oggi non sono in grado di dar la fiducia ad alcun governo, neppure che prenda il loro programma elettorale, e lo faccia proprio dalla prima all’ultima riga. Altro che “effetto Grasso”, con ministri in grado di sparigliare. “E non daremo la fiducia neppure a un governo guidato da Grasso”, si è affrettata a precisare alla vigilia del colloquio al Quirinale la presidente dei deputati grillini, Roberta Lombardi.
Di disponibilità, per la verità, c’è ne sono altre, quelle dei montiani (che da soli però non bastano), e quella del Pdl. Ma i berluscones sono considerati impresentabili, ed ogni collaborazione con loro continua a esse esclusa, sia dal segretario del Pd che dai maggiorenti del partito che ha vinto di un soffio le elezioni. Lucia Annunziata domenica intervistando Alfano ha pronunciato quella parola che al Nazareno tutti pensano, ma che non è politically correct pronunciare.
Napolitano è stato chiarissimo: lui non si può permettere di affidare un incarico senza i numeri. E i numeri continuano a non essere visibili all’orizzonte. L’intenzione bersaniana di sfidare il mare in tempesta del Senato per cercare in aula la fiducia facendo breccia fra i 5 Stelle appartiene ogni ora di più alla categoria delle scelte temerarie, proprio quelle che Napolitano non può permettersi per nulla al mondo. Non a caso i presidenti delle Camere, uscendo dai rispettivi colloqui con il Capo dello Stato, hanno ripetuto all’unisono che serve un governo al più presto. Qualcosa di assai distante dal dire che serve un governo a tutti i costi.
Se proprio dovesse insistere, Bersani non potrebbe andare più in la’ di un preincarico, vecchio termine da prima Repubblica, che segnala la concessione di un giro di colloqui per verificare l’esistenza di una maggioranza, con l’obbligo di riferire al Quirinale prima di mettersi al tavolo per stilare la lista dei ministri. Quel che Napolitano non può assolutamente permettersi è che il primo governo della legislatura nasca morto e vada a sbattere sullo scoglio di un’impossibile fiducia a Palazzo Madama. Se questo accadesse, vorrebbe dire che la legislatura è morta in culla, ma senza che lui (giunto a pochi giorni dalla scadenza del mandato) possa sciogliere le Camere. In più, Bersani, una volta giurato, sarebbe in carica a tutti gli effetti, e s’installerebbe a Palazzo Chigi. Potrebbe in questo modo gestire le elezioni, un vantaggio che gli altri contendenti faranno di tutto per non concedergli.
Tutti questi elementi sono ormai chiari sulla scrivania del presidente Napolitano. Nel momento in cui l’ipotesi dell’incarico a Bersani perde lentamente vigore, cresce quella di un mandato esplorativo affidato proprio al presidente del Senato Pietro Grasso.



L’ex procuratore nazionale antimafia potrebbe da una parte certificare l’assenza di una maggioranza disponibile a supportare un governo Bersani, e dall’altra muoversi con maggiori spazi di manovra alla ricerca di diverse intese. Non più il Movimento 5 Stelle come interlocutore privilegiato (anzi quasi unico), ma anche Scelta Civica e Centrodestra. Un governo istituzionale di emergenza, in nome della crisi economica e non ostile all’Europa.
Per questo tentativo lo spazio, oggettivamente, esiste. Un programma scarno, limitato a misure a favore della crescita, in parallelo alla riforma della legge elettorale. Sono temi che interessano ai montiani ed al centrodestra. Di certo potrebbero coinvolgere la Lega, contraria a un precipitoso ritorno alle urne, con o senza il beneplacito del Pdl. Non va dimenticato che centrosinistra, Scelta Civica e leghisti al Senato sono in grado di superare la soglia fatidica della maggioranza assoluta. In più, un Grasso che trasloca a Palazzo Chigi lascerebbe libera la poltrona più alta di Palazzo Madama, consentendo una redistribuzione d’incarichi che veda un esponente del centrodestra (Quagliariello?) alla seconda carica dello Stato e un democratico al Quirinale dopo Napolitano.
C’è però da considerare lo scenario in cui Bersani tiene duro, ottiene l’incarico e decide di giocarsi tutte le carte a disposizione. Gli basterebbe tirare le cose per le lunghe per mettere in difficoltà il presidente della Repubblica, ormai prossimo alla scadenza. Se riuscisse ad arrivare al l’elezione del nuovo Capo dello Stato, la partita si riaprirebbe, in un senso o nell’altro. Un governo Bersani, oppure elezioni a breve. Un paese, insomma, sospeso ancora una volta pericolosamente fra il tutto e il nulla.

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