Il mandato conferito a Bersani è condizionato dalla verifica dell’esistenza di una maggioranza sia alla Camera che al Senato. Se non la troverà, con ogni probabilità Napolitano non lo manderà di fronte alle Camere a chiedere la fiducia. Ipotesi decisamente ardua, dato che al Senato il centrosinistra può contare solamente su 113 senatori mentre la maggioranza è di 158. Come ricorda Dino Martirano su Il Corriere delle Sera, potrebbe accadere al 19 maggio 1994, «quando il primo governo Berlusconi ottenne la fiducia al Senato per un solo voto. I senatori erano 326, di cui 11 quelli a vita, ma alla fine in aula si presentarono soltanto in 315: 314 i votanti, per cui la maggioranza richiesta si abbassò a quota 158 grazie, soprattutto, a tre popolari (Cecchi Gori, Zanoletti e Cusumano) che fecero perdere le loro tracce al momento dello scrutinio». Ebbene, anche il capogruppo dei Senatori Pd, Luigi Zanda, inviato come sherpa a Palazzo Madama, potrebbe perlustrare un’ipotesi del genere, valutare se qualcuno sia disposto ad assentarsi strategicamente per far così abbassare il quorum. Ci sarebbero, intanto, 21 senatori della Lista Monti possibilisti, più 7 dell’Svp; tra questi ultimi, alcuni sarebbero entrati in Parlamento, per poi confluire nel gruppo misto, anche grazie al Pd. Saremmo così a 145. Non basta. Tanto più che Napolitano, essendo a fine mandato, non vuol di certo essere ricordato per aver autorizzato giochetti tattici quali le assenza pilotate. Il Pd starebbe facendo scouting anche tra i 16 senatori della Lega e tra quella decina di parlamentari pidiellini confluiti nel gruppo Grandi autonomie e libertà. Sempre secondo Martirano, c’è un’altra ipotesi: la “stampella”, con l’appoggio decisivo di Berlusconi, arriverebbe «ma da un concorso di più partiti: i 9-10 di Grandi autonomie e libertà, 5 o più grillini (pronti a vestire i panni dei paladini della governabilità dopo aver dato il via libera a Grasso), 5 leghisti autorizzati da Maroni, 5 pidiellini pontieri e/o responsabili».