Il tempo gioca contro Pier Luigi Bersani. Più scivola via, meno probabilità ha il segretario democratico di riuscire nella sua mission impossible, quella di formare un governo in grado di non cadere sotto il primo voto parlamentare, cioè la fiducia a Palazzo Madama. 

Almeno in apparenza la situazione non è cambiata di una virgola rispetto a venerdì sera, quando Bersani ha ricevuto da Napolitano il preincarico. Ha scelto di incontrare le forze economiche e sociali, insieme a personalità eminenti come Roberto Saviano e Giuseppe De Rita, eludendo sino a questo momento la domanda che gli ha posto il Capo dello Stato, una domanda semplice e definitiva: verificare di poter contare su una maggioranza certa in entrambi i rami del Parlamento.



Di fatto Bersani ha perso tempo, come riconoscono anche alcuni esponenti del suo partito. Ha occupato il fine settimana per far vedere di essersi messo al lavoro, ma non ha mosso un passo: il muro eretto dal Movimento 5 Stelle regge perfettamente, in modo speculare rispetto al muro che Bersani medesimo ha eretto rispetto all’ipotesi, unica numericamente sensata, di un governo di grande coalizione cui il Pdl continua a dirsi disponibile.



Stretto fra due muri, man mano che passano le ore lo spazio di manovra per il segretario del Pd si restringe sempre di più, a meno che non abbia una carta segreta da giocare, sinora tenuta accuratamente coperta. Se Bersani ha in serbo un colpo a sorpresa ha tempo al massimo sino a mercoledì per sfoderarlo. In caso contrario la pressione su di lui sarà tale che non gli resterà altra scelta che ripercorrere mestamente la strada del Colle e rimettersi alle decisioni di Giorgio Napolitano.

Con ogni probabilità Bersani ha utilizzato il fine settimana per preparare il cruciale passaggio della direzione del suo partito convocata per questa sera. Una riunione che si annuncia tempestosa, e nella quale Bersani sarà pressato da tutte le parti. Se qualche annuncio dovrà essere fatto, oppure qualche correzione alla linea politica dovrà essere apportata, quella è la sede adatta. E di sicuro in questo fine settimana le diplomazie sotterranee non sono rimaste ferme, anche se di spiragli in questo momento se ne intravedono ben pochi.



Il presidente del Consiglio preincaricato continua a rivolgersi essenzialmente al Movimento 5 Stelle, ottenendo però risultati pari a zero. I casi sono due: o c’è una tela che si sta tessendo lontano dai riflettori della ribalta mediatica (ma sarebbe davvero ben nascosta), oppure tanta insistenza prelude all’affondo contro i grillini, che verranno indicati all’opinione pubblica come i responsabili primi dello sfascio, avendo impedito con il loro ostinato no un governo di vero cambiamento.

Quanto a ostinazione il politico piacentino non è secondo a nessuno, e mollerà questa strada solo dopo averle provate davvero tutte. Per il resto spiragli minimi: persino con Scelta Civica, dentro la quale cova lo scontro fra montiani e montezemoliani, il dialogo si presenta più difficile del previsto, perché i centristi sono convinti della necessità di non lasciar fuori nessuno.

Del resto per fare una maggioranza in Senato, oltre a centrosinistra e centristi, serve come minimo l’apporto della Lega, un mondo da cui vengono segnali contraddittori. Se maroniani di stretta osservanza come Tosi e Pini mandano segnali di cauto interesse, la posizione ufficiale del partito, ribadita da Cota e Calderoli, rimane quella di decidere ogni mossa insieme all’alleato Pdl. Almeno per questo primo giro, è il ragionamento comune dalle parti di via Belleerio, è più conveniente mandare Bersani a sbattere, per poi vedere come si evolve la situazione e discutere con il personaggio cui il presidente della Repubblica affiderà il secondo giro.

Della fedeltà del Carroccio Berlusconi per il momento si sente sicuro e si è seduto sulla riva del fiume della politica italiana in attesa che passi il cadavere del suo avversario piacentino. A piazza del Popolo sabato ha avuto la conferma di aver dietro un elettorato in salute e che continua a credere in lui, nonostante i guai, soprattutto giudiziari. Di conseguenza ha potuto legare la corsa verso palazzo Chigi a quella per il Quirinale, argomento che Bersani vede come il fumo negli occhi, e rilanciare il suo aut-aut: o anche noi nel governo, oppure subito al voto.

Adesso Bersani deve tirar fuori il coniglio dal cilindro, prima che la situazione si sfibri, come gli ha detto il presidente di Confindustria Squinzi. Se tiene in serbo qualcosa non può perder altro tempo. Altrimenti può scegliere se aprire al Pdl lui, rimangiandosi la conventio ad excludendum teorizzata in queste settimane, oppure lasciare che sia qualcun altro a giocare questa partita. Ma in questo caso dovrà stare attento a chi nel suo stesso partito sta già affilando i pugnali: Fassina che lancia l’allarme, e Renzi che gli telefona per assicurargli il suo sostegno sono solo l’antipasto della resa dei conti che potrebbe a breve scatenarsi al Largo del Nazareno.