Marcello Dell’Utri, ex onorevole di Forza Italia e poi senatore del Pdl, è stato condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Il procuratore generale del capoluogo siciliano, Luigi Patronaggio, ne ha chiesto l’arresto sottolineando che esiste il pericolo di fuga. Il primo commento del giudice era stato: “E’ stata riconosciuta la colpevolezza dell’imputato per le accuse che gli sono state contestate fino al ’92. Ci riteniamo soddisfatti e pensiamo che sia stata fatta giustizia”. Ilsussidiario.net ha intervistato Fabrizio D’Esposito, giornalista politico de Il Fatto Quotidiano.
Questa sentenza è la dimostrazione di quanto la mafia sia in grado di controllare la politica italiana?
Noi abbiamo un’idea molto schematica e statica della realtà del fenomeno mafioso. Cosa Nostra cerca sempre candidati da appoggiare e con cui potere trattare. Ci sono infiltrazioni, candidati organici, se noi leggiamo quanto è stato scritto da tempo, Dell’Utri è stato indicato come l’ambasciatore, il pontiere tra la mafia e Silvio Berlusconi. In altri casi possiamo trovare personaggi politici che vengono definiti più organici. La mafia del resto non sta mai all’opposizione, ma come la ‘Ndrangheta e la Camorra sta sempre con chi vince.
Niente di nuovo sotto il sole quindi?
In passato questo patrimonio di rapporti era in carico alla Democrazia Cristiana, sappiamo tutti i processi che ci sono stati contro Andreotti, che però ne è uscito quasi del tutto pulito. Forza Italia e poi il Pdl hanno governato per buona parte di questi ultimi 20 anni, la Sicilia è stata la regione del 61 a 0, cioè dei 61 seggi conquistati dal centrodestra contro neanche uno del centrosinistra. E’ quanto è avvenuto quando il “viceré” di Forza Italia nell’isola era Gianfranco Micciché, ancora oggi molto amico di Dell’Utri. Forse per molti la condanna di oggi non sarà una verità storica tale da inficiare fin dall’inizio l’intero movimento di Forza Italia, ma certamente non si può dire che quello di Berlusconi sia stato un partito contro la mafia.
Qual è il significato politico della sentenza su Dell’Utri?
Questa sentenza dimostra ancora una volta, qualora ce ne fosse il bisogno, da chi era composto il Pdl. La condanna di Dell’Utri dà ragione a Bersani che sta dicendo di no alla concordia nazionale e alle larghe intese, ed è un altro piccolo macigno sulla ricerca di dialogo che il Pdl sta cercando di ottenere. La conseguenza può essere quella di indebolire i fautori delle larghe intese. Dell’Utri fino alla scorsa legislatura è stato un senatore del Pdl, poi c’è stata una gran gazzarra per non fare candidare lui e Cosentino, altri si sono candidati, ma è stato l’uomo che ha fondato Forza Italia e una delle figure più vicine a Silvio Berlusconi. Questa condanna è molto significativa e non può non essere vista da quanti nel Pd o altrove vanno predicando le maggioranze bipartisan. Bersani deve fare un governo che sia “di parto pulito”, mi sembra difficile che possa nascere insieme al partito nel quale fino a poco tempo fa ha militato Dell’Utri.
La condanna di Dell’Utri mette quindi fine a qualsiasi possibilità di un governo Bersani?
Sì, ma non nel senso che i magistrati abbiano agito animati dalla volontà di impedire la trattativa tra Pdl e Pd. Il punto vero è che certamente tra le valutazioni politiche che possono essere fatte, per quanto riguarda la ricerca del dialogo e delle larghe intese, questo può essere un macigno. Ben venga però questo “macigno” almeno da parte di quanti nel Pd non vogliono il dialogo con il Pdl. Non dimentichiamoci che nel Pdl ancora oggi ci sono molti “impresentabili”, cioè politici che sono sotto inchiesta per vari motivi, in alcuni casi sono state condannati o hanno problemi con la giustizia.
Il Pd è stato immune dagli scandali, come per esempio il caso Mps?
Io non sto delineando una linea di demarcazione netta tra il bene e il male. Sto soltanto dicendo che per quanto riguarda Mps oggi non ci sono imputati politici. Sono d’accordo sul fatto che si è trattato di un grandissimo scandalo, che ha riguardato la banca da sempre vicina ai Ds e poi al Pd, con criteri di nomina politica. Finora però tutte le responsabilità accertate riguardano i manager della banca. E’ poi ovvio che il mondo del Pd più favorevole all’inciucio sia sempre stato quello dalemiano, lo stesso che ha fatto affari con le banche. Ricordo che nel 2006, prima del voto per il presidente della Repubblica da cui fu eletto Napolitano, intervistai Marcello Dell’Utri il quale mi disse che sosteneva la candidatura di D’Alema.
(Pietro Vernizzi)