La ratifica della linea del segretario emersa dalla direzione nazionale del Pd di ieri non cambia le carte in tavola. Bersani ha di fronte a sé un tentativo, per molti aspetti, disperato: in cuor suo spera di indurre tra i 15 e i 20 senatori grillini alla defezione. Ma l’M5S, almeno a parole, dopo la vicenda che ha portato all’elezione di Grasso, sembra tornato ad essere monolitico. I senatori perdonati una volta difficilmente provocheranno Grillo una seconda. Quindi, Bersani è senza maggioranza. E non sarà mandato da Napolitano a chiedere la fiducia in Parlamento. Almeno che non abbia ragione lui. A conti fatti, a Grillo potrebbe convenire fingere intransigenza, ma svincolare qualcuno dei suoi. C’è un’altra opzione. Il Pd è spaccato tra chi considera l’alleanza con Berlusconi un male assoluto e chi un male necessario. Ci sarebbe un compromesso in grado di conciliare le due anime. Abbiamo parlato di tutto questo con Ugo Finetti, giornalista e scrittore.



Come valuta le mosse del segretario del Pd?

Mi pare che Bersani, pur di diventare presidente del Consiglio, si stia rivelando disposto a tutto. Anche ad assumere l’attuale linea disperata.

Cosa intende?

Ha inanellato una serie di operazioni insensate e disarmanti: ha posto un neosenatore a capo del Senato, una neodeputata a capo della Camera e un neodeputato a capo del gruppo parlamentare. Incontrare Saviano nell’ambito delle consultazioni è stato solamente l’ultimo atto di una politica giovanilistica in cui si è convinto che l’unico “anziano” possa essere lui. In sostanza, per rincorrere Grillo, ha disegnato un quadro di estrema fragilità. Dimenticando che con Grillo l’incompatibilità su temi importantissimi è assoluta: basti pensare alle grandi opere infrastrutturali, alle sue posizioni antieuropee, al fatto che la politica estera mediorientale era in mano al suocero. Detto questo, c’è una remota possibilità che tutto questo sia funzionale a raggiungere l’obiettivo.



In che modo?

Se esistevano dei canali di comunicazione tra la Cia a il Kgb ai tempi della Guerra Fredda, verosimilmente esistono anche tra il Pd e l’M5S. Bersani potrebbe pensare che Grillo lasci un pugno di voti in libera uscita. Il comico genovese, dal canto suo, ha parecchi problemi. E’ scorretto affermare che se si andasse a elezioni oggi prenderebbe il 60%. E’ vero il contrario. La gente, infatti, gli imputa la responsabilità dell’ingovernabilità. Le urne anticipate, oltretutto, potrebbero rimettere in gioco Berlusconi.

Chi reputa Berlusconi il male assoluto e non vuole l’accordo, quindi, potrebbe averla vinta.



Non necessariamente. Dobbiamo considerare un altro fattore. L’impianto strategico sin qui descritto dà per scontato che Scelta civica appoggi il governo Bersani. Ma Italia futura ha di recente messo in discussione tale ipotesi, prendendo le distanza da Monti. A questo punto, quindi, quand’anche vi fossero alcuni senatori grillini disposti a “tradire”, i voti per la fiducia mancherebbero comunque.

 

Che alternative rimangono?

Bersani dovrebbe rieditare la politica dei due tavoli: quello programmatico (la cui responsabilità politica spetterebbe al Pd) per affrontare un numero limitato di misure sul fronte della politica estera, europea, economica, sociale, senza isterismi e senza l’ossessione di proporre leggi volte ad annientare Berlusconi; e quello delle riforme istituzionali che, a differenza del primo, dovrebbe essere condiviso da tutte le forze politiche. In uno scenario del genere si potrebbe ipotizzare, da parte del Pdl, la politica dell’astensione. Affinché si possa raggiungere un equilibrio di questo tipo, occorre un garante. O Napolitano viene riconfermato, o il prossimo presidente della Repubblica dovrà essere il frutto di un accordo ampiamente condiviso tra Pd e Pdl.

 

Perché il Pd dovrebbe accettare un accordo del genere?

Perché non ha scelta. E perché un compromesso del genere metterebbe d’accordo sia l’anima nettamente contraria all’accordo con Berlusconi, che quella possibilista. D’altro canto, non sarebbe un vero e proprio accordo. Non vedrebbe, infatti, la presenza del Pdl al governo. Il quale, a dire il vero, sa bene che non gli conviene, elettoralmente, mostrarsi organico all’esecutivo Bersani.

 

Non è più probabile che Bersani fallisca e che Napolitano dia l’incarico ad una figura istituzionale quale il presidente del Senato Pietro Grasso?

Questo complicherebbe le cose. Si tratterebbe del cosiddetto governo del presidente. Ma di un presidente che, pochi giorni dopo, non sarebbe più tale. Si tratterebbe di un esecutivo delegittimato e di breve durata.

 

Renzi, nel frattempo, scalda i muscoli in attesa del fallimento di Bersani?

Diciamo che per ora sta mantenendo un atteggiamento di grande lealtà per evitare, nell’ipotesi di una disfatta del segretario, quando potrebbe toccare a lui di prendere le redini del Pd, di subire dei veti dalla sinistra. Non è un caso che non si è presentato alla direzione di ieri sera. Avrebbe dovuto parlare. E sarebbe stato costretto ad appoggiare Bersani, annacquandosi così nel resto della dirigenza, o a contestarlo, venendo così tacciato di tradimento.

 

(Paolo Nessi)