Un risultato peggiore di quello uscito dalle urne Giorgio Napolitano proprio non se lo poteva immaginare. E a una settimana di distanza dalle elezioni le cose vanno – se possibile – di male in peggio. I partiti non danno alcun segno di ravvedimento operoso, ed il presidente si prepara a giocare un ruolo decisivo a poche settimane dalla conclusione del suo mandato.



Sarà arbitro della contesa, ma probabilmente dovrà ancora una volta escogitare una soluzione innovativa per tirare fuori il paese dalle secche in cui si è cacciato. Un’operazione se vogliamo ancor più difficile di quella compiuta nel novembre del 2011, quando tenne a battesimo il governo di Mario Monti così da evitare la bancarotta ad un’Italia che con Berlusconi aveva perso ogni credibilità internazionale.



Un dato è però certo: Napolitano non ha alcuna intenzione di lasciar gestire la partita al suo successore, anzi in queste ore valuta con il governo la percorribilità di un decreto per accorciare il tempo di attesa per l’insediamento del nuovo parlamento. Non il 15 marzo, ma forse l’11, poco importa se coinciderà con l’inizio del conclave. Il tempo stringe e, in fondo, sempre di scelte delicate si tratta.

Alcuni punti fermi Napolitano li ha già messi. Anzitutto ha ricordato che lui ha perso il potere di sciogliere le Camere, perché ormai si trova nel cosiddetto “semestre bianco”. Nonostante questa menomazione, il Capo dello Stato non intende fare sconti a nessuno, neppure ai suoi amici del Partito democratico. I segnali sono chiari: l’ipotesi ventilata da Bersani di un governo di minoranza non è presa neppure in considerazione: il primo governo della legislatura deve arrivare alle Camere con una ragionevole probabilità di ottenere la fiducia.



Come il segretario democratico, anche Napolitano è convinto che l’onere della prima mossa ricada sulle spalle del Pd. Bersani ha quindi un paio di settimane di tempo per sondare il terreno ed arrivare alle consultazioni al Quirinale con uno straccio di proposta per costruire un governo in grado quantomeno di levare l’ancora e cominciare la sua navigazione.

I segnali in questo senso non sono confortanti. La tensione che sale, giorno dopo giorno, fra Bersani e Grillo non lascia presagire nulla di buono. Vista con gli occhi di un politico navigato come Napolitano la situazione avrebbe un solo scenario plausibile: un’intesa a tempo fra Pd e Pdl (con o senza Monti a questo punto poco importa) per fare poche cose, fra cui la legge elettorale, e riportare presto il paese al voto alla ricerca di un assetto più stabile. Una grande coalizione come argine all’antipolitica grillina, ma fatta dai partiti, non dai tecnici. 

Dentro il Pd, però, l’ipotesi di collaborare con il “giaguaro” fa storcere la bocca a molti, tanto fra i “giovani turchi” alla Orfini o alla Fassina, quanto fra la vecchia guardia dei Marini o delle Bindi. All’opposto, un segnale di apertura in chiave di realpolitik è venuto nei giorni scorsi da D’Alema, e questa variabile nei prossimi giorni potrebbe pesare, specie in vista della cruciale direzione democratica di mercoledì, dove Renzi ripeterà che il Pd non ha affatto vinto, anzi ha perso.

Se Bersani non saprà essere convincente, Napolitano potrebbe non affidargli nemmeno il primo incarico e virare con decisione verso altre ipotesi. Dal “governo di scopo” a guida piacentina si potrebbe passare a un “governo del presidente”, che proprio nel Quirinale troverebbe la sua fonte di legittimazione. Potrebbe quest’ultimo essere formato o da tecnici, o da ministri espressi dai partiti. Nel primo caso i nomi che si fanno sono quelli provenienti dalla Banca d’Italia, Visco e Sacomanni, ma circola anche il nome di Rodotà. Nel secondo caso possibile che a Palazzo Chigi sia chiamato qualcuno dei ministri di Monti che si è tenuto lontano dalla contesa elettorale: Passera, Cancellieri, Severino o Barca sono i papabili. 

Sarà una corsa contro il tempo, con gli occhi puntati sul 15 aprile, data in cui si metterà in moto la macchina per eleggere il successore di Napolitano. E al Quirinale c’è chi adombra persino il timore che Bersani, una volta avuto l’incarico, potrebbe allungare i tempi della formazione del governo sino a quella data, così da inserire nella trattativa anche il nome dell’inquilino del Colle più alto della politica italiana. Napolitano però vorrebbe chiudere la partita prima di passare la mano, e difficilmente accetterà rallentamenti in una partita dagli esiti ancora oggi imprevedibili.