Chiunque abbia partecipato alla chiusura della campagna elettorale del M5S a Piazza San Giovanni ricorda che nell’attesa dell’exploit l’intrattenitore si è dilettato a richiamare la bellezza della Costituzione italiana; anzi, ha fatto di più ha imposto alla piazza di recitarla, ma non è arrivato all’art. 67, già all’articolo 3 era un po’ stanco. L’uso del feticcio “Costituzione” è quanto di peggio possa accadere a una Costituzione che è il più importante strumento normativo di una comunità politica organizzata nella forma dello Stato. Da anni stiamo sperimentando il feticismo costituzionale ed è una delle cause – non la sola – che ostacolano il processo di riforma dello Stato. Questo peraltro non ha impedito, soprattutto in privato, a coloro che feticizzavano la Costituzione (in pubblico) di attaccarne la parte normativa più importante e, avendone l’opportunità, di disattenderla.
I leader del M5S, il gatto e la volpe, se la prendono con l’art. 67 della Costituzione e con il divieto di mandato imperativo. Segno evidente che la riunione di ieri con i “cittadini” rappresentanti del popolo in Parlamento non deve essere andata proprio bene. Ci deve essere stato qualcosa che non ha funzionato. Già prima che partisse la campagna elettorale il M5S aveva espulso chi aveva osato parlare in tv; poi aveva imposto durante la campagna elettorale di non parlare con i giornalisti e altre limitazioni varie; infine, il gatto e la volpe avrebbero preteso di dirigere i gruppi parlamentari di Camera e Senato dall’esterno, non essendo loro stessi membri del Parlamento, imponendo così le decisioni ai cittadini rappresentanti e delegittimando e, meglio ancora, “perseguendo penalmente o cacciando a calci dalla Camera e dal Senato” chi osa non rispettare la disciplina del movimento, ergo la volontà del gatto e della volpe, ma sul loro cammino hanno trovato l’art. 67, il divieto del mandato imperativo.
Verrebbe da chiedere: non lo sapevate? Non avevate letto la Costituzione? Adesso affermano che la Costituzione consente la “circonvenzione di elettore”. Fa un po’ ridere, ma è normale e poi ridere fa bene allo spirito e al corpo. Ciò che fa male è che l’interpretazione della Costituzione è ridotta al mero opportunismo. Quella disposizione, l’art. 67, non ha solo un alto valore simbolico legato alla libertà della coscienza del singolo parlamentare, che si avvale anche delle prerogative dei successivi artt. 68 e 69, per cui il parlamentare è libero di esprimere i propri pensieri e voti, gode di significative guarentigie per quel che riguarda la libertà personale e ha diritto a una indennità, ma soprattutto esprime una concezione della rappresentanza politica che si sposa intimamente con la realizzazione del principio democratico.
Capisco il problema del gatto e della volpe e che per loro possa finire – magari non subito – come nella favola di Pinocchio, uno cieco e l’altro senza coda, derisi dagli elettori, ma questa è la democrazia: la libera discussione tra i cittadini, che si organizzano in partiti politici per concorrere con metodo democratico alla formazione della politica nazionale (art. 49) e le funzioni dei partiti sono due e alquanto semplici: selezionare la classe dirigente e partecipare alle elezioni per eleggere la rappresentanza politico parlamentare.
Da quel momento in poi vigono le regole dello Stato costituzionale, forgiate nel fuoco delle rivoluzioni e difese dagli attacchi delle dittature, che proprie sulla revoca del mandato hanno fondato la loro aggressione ai parlamenti democratici. L’eletto rappresenta la Nazione, non il partito che lo ha candidato, non il gruppo degli elettori che lo ha votato ed esercita il proprio mandato in totale libertà. Tra cinque anni, ma in questo caso probabilmente anche prima, se ne parla: l’eletto può non trovare un partito che lo candida nuovamente o non disporre più dei benevoli voti dei cittadini ed essere ricordato o cancellato dal ricordo collettivo per quello che ha fatto o non ha fatto.
Capisco il problema del gatto e della volpe, ma dovevano pensarci prima. A loro spettava il compito storico – sia detto senza ironia – di selezionare una nuova classe dirigente; se invece, come hanno detto, hanno selezionato “voltagabbana, opportunisti, corruttibili, cambiacasacca”, peggio per il M5S e peggio per il Paese. D’altra parte, se si selezionano con il web i candidati e bastano anche 30 cliccate (non si possono chiamare voti) per diventare candidato, non ci si può aspettare che poi venga fuori Alcide De Gaspari, Palmiro Togliatti e Pietro Nenni e neppure gli uomini politici che questi selezionarono e che portarono all’Assemblea costituente e, dopo, nei primi Parlamenti repubblicani.
Il M5S ha preteso di decidere i candidati con il web e, dal punto di vista costituzionale, questo è stato un errore; anche le primarie all’italiana non sono state un granché. Nei sistemi costituzionali democratici i leader dei partiti sono tali perché guidano il partito, grazie a un processo di selezione interno, a volte anche naturale, e selezionano a loro volta, con procedure certe e nel rispetto dei principi e valori del partito stesso, gli appartenenti da fare eleggere insieme a loro nella rappresentanza, per continuare a fare politica nelle Istituzioni. Ma tutto ciò deve avvenire sulla base di una discussione pubblica che determina la coesione del partito stesso e il valore delle sue idee.
Anche nelle Istituzioni continua la funzione del partito, in quanto spetta a questo animarle e più sarà coeso, meglio sarà per le istituzioni: la democrazia parlamentare non è il trionfo dei “voltagabbana, opportunisti, corruttibili, cambiacasacca”, ma al contrario l’espressione più alta della classe politica nazionale. So perfettamente che in Italia non è più cosi e che ci sono voltagabbana, opportunisti, corruttibili, che cambiano casacca, ma ce ne sono anche tanti che non cambiano la casacca; segno evidente che è quest’ultima (la casacca) a perdere peso e non l’art. 67.
La storia della democrazia italiana degli ultimi trent’anni è la storia di un degrado non più tanto lento e soprattutto ampiamente visibile in Italia e nel mondo. Il M5S è parte di questa storia: deve decidere se è un ulteriore capitolo del declino democratico, o un movimento in controtendenza che può fare del bene alla democrazia italiana.