Sono ore decisive per il centrosinistra. Alla direzione del Partito Democratico, convocata per le 10 di questa mattina, Pier Luigi Bersani è chiamato a giocarsi le ultime carte che gli sono rimaste. Davanti a un Beppe Grillo convinto più che mai a non voler dare alcun voto di fiducia al Pd o a un governo tecnico, al leader democratico non resta altro che tentare di strappare ai suoi l’approvazione per la costruzione di un esecutivo di minoranza con cui costringere i 5 Stelle ad accettare gli otto punti del programma da poco presentati. Al vertice del partito sarà presente anche Matteo Renzi, ieri per due ore a colloquio con Mario Monti e considerato da molti il naturale successore di Bersani nel caso in cui si dovesse tornare presto alle urne. Facciamo il punto della situazione insieme al giornalista Peppino Caldarola, a cominciare dall’incontro previsto in mattinata.



Cosa si aspetta da questo appuntamento?

Possono accadere sostanzialmente due cose: la prima è che ci sia un’acquiescenza nei confronti della linea di Bersani, il quale punta a un incarico per un governo di minoranza pur sapendo che, rispetto a questa soluzione, vi è il giudizio negativo del Quirinale e la totale contrarietà di Grillo.



L’altro scenario?

Possiamo immaginare che questa acquiescenza non ci sia e che qualcuno proponga al segretario di favorire la soluzione tecnica, quindi di andare al Quirinale non per chiedere un governo a guida Pd ma uno tecnico.

Quali caratteristiche dovrebbe avere un esecutivo del genere?

Il governo tecnico che potrebbe venir fuori dovrebbe essere guidato da una personalità talmente indiscussa da poter persino ottenere il voto di fiducia dal Movimento 5 Stelle, anche se poi la vera discussione dovrebbe riguardare la durata.

Vale a dire?

Le opzioni possibili sono due: da una parte c’è un governo tecnico “balneare”, quindi di breve periodo, mentre dall’altra un governo sostenuto da una maggioranza che riesce a farlo durare almeno quei due anni necessari a compiere le diverse riforme istituzionali. Al momento, però, è ancora tutto decisamente in forse.



Nichi Vendola ha invece detto che “Bersani deve fare la prima mossa e gli suggerisco di presentarsi con un programma che parli al Paese e con una squadra di governo che possa stupire”. Secondo lei cosa intende?

Sono belle parole che però devono anche fare i conti con la realtà. Forse Vendola intende dire che, con un programma come quello degli otto punti e con una lista di nomi altisonanti, il Pd potrebbe anche convincere Beppe Grillo a dare il voto di fiducia. Il leader M5S ha però chiaramente detto che non appoggerà mai un governo guidato dal Pd né uno tecnico, quindi quelli di Vendola appaiono più come proclami elettorali rivolti più alla propria base elettorale che come una vera proposta politica.

Il governatore pugliese ha aggiunto che l’esito elettorale ha punito il centrosinistra perché “invece di vedere le domande  di giustizia sociale che provenivano anche dalla pancia del paese ha parlato di Monti, Monti e ancora Monti”. Crede sia vero?

Osservando attentamente le cronache politiche di questi ultimi mesi, credo sia stato proprio Vendola a cominciare a parlare di Monti. E’ però anche vero che da parte del centrosinistra è mancata a tal punto la presa sociale che tantissimi elettori hanno preferito andare da Grillo: la riflessione, che deve essere autocritica, deve partire da questo.

 

Apriamo il capitolo Renzi, ieri a colloquio con Monti e oggi alla direzione del Pd. Crede sia arrivato il suo turno?

Tutti, a cominciare da Bersani, hanno sempre detto che Renzi avrebbe dovuto aspettare il proprio turno. Tutti, però, immaginavano che questo sarebbe arrivato solo dopo un ciclo di Bersani al governo della durata di cinque anni.

 

E ora che le urne non lo hanno permesso?

I risultati elettorali ci dicono che questo ciclo si è ormai esaurito e che di fronte all’ipotesi di elezioni, più o meno a breve termine, il Pd può muoversi in due direzioni: può ricandidare Bersani, “zavorrato” però da una pesante sconfitta, oppure può scegliere di mandare avanti il sindaco di Firenze che dispone ancora di molte carte da giocare. Insomma, credo che il momento di Renzi si stia ormai avvicinando.

 

Bersani deve farsi da parte?

Nel momento in cui non si vincono le elezioni, in tutte le democrazie occidentali il leader si fa da parte. Abbiamo numerosi esempi nella storia della politica, italiana ed estera, avvenuti anche con risultati migliori di quelli ottenuti da Bersani. Per questo sono dell’idea che il segretario del Pd debba effettivamente fare un passo indietro.

 

(Claudio Perlini)