Di seguito, il testo integrale della lettera al direttore di Julián Carrón (Comunione e Liberazione) pubblicata su La Repubblica con il titolo “Anche in politica l’altro è un bene”.

 

Caro direttore,

Cercando di vivere la Pasqua nel contesto degli ultimi eventi accaduti nella Chiesa – dalla rinuncia di Benedetto XVI all’irruzione di papa Francesco -, non ho potuto evitare di pensare alla drammatica situazione in cui versa l’Italia per la difficoltà di uscire dalla paralisi che si è venuta a creare.

Si è scritto molto su questo da parte di persone ben più autorevoli di me per le loro competenze in politica. Non ho alcuna soluzione strategica da suggerire. Mi permetto solo di offrire qualche pensiero, nel tentativo di collaborare al bene di una nazione alla quale mi sento ormai legato per tanti motivi.

Mi pare che la situazione di stallo sia il risultato di una percezione dell’avversario politico come un nemico, la cui influenza deve essere neutralizzata o perlomeno ridotta al minimo. Abbiamo nella storia europea del secolo scorso documentazione sufficiente di analoghi tentativi da parte delle differenti ideologie di eliminarsi a vicenda, che hanno portato alle immani sofferenze di intere popolazioni.

Ma l’esito di questi sforzi ha portato a una constatazione palese: è impossibile ridurre a zero l’altro. È stata questa evidenza, insieme al desiderio di pace che nessuno può cancellare dal cuore di ogni uomo, che ha suggerito i primi passi di quel miracolo che si chiama Europa unita. Che cosa permise ai padri dell’Europa di trovare la disponibilità a parlarsi, a costruire qualcosa insieme, perfino dopo la seconda guerra mondiale? La consapevolezza della impossibilità di eliminare l’avversario li rese meno presuntuosi, meno impermeabili al dialogo, coscienti del proprio bisogno; si cominciò a dare spazio alla possibilità di percepire l’altro, nella sua diversità, come una risorsa, un bene.

Ora, dico pensando al presente, se non trova posto in noi l’esperienza elementare che l’altro è un bene, non un ostacolo, per la pienezza del nostro io, nella politica come nei rapporti umani e sociali, sarà difficile uscire dalla situazione in cui ci troviamo.

Riconoscere l’altro è la vera vittoria per ciascuno e per tutti. I primi ad essere chiamati a percorrere questa strada, come è accaduto nel passato, sono proprio i politici cattolici, qualunque sia il partito in cui militano. Ma anche essi, purtroppo, tante volte appaiono più definiti dagli schieramenti partitici che dall’autocoscienza della loro esperienza ecclesiale e dal desiderio del bene comune. Eppure, proprio la loro esperienza di essere «membri gli uni degli altri» (san Paolo) consentirebbe uno sguardo sull’altro come parte della definizione di sé e quindi come un bene.

In tanti questi giorni hanno guardato la Chiesa e si sono sorpresi di come si sia resa disponibile a cambiare per rispondere meglio alle sfide del presente. In primo luogo, abbiamo visto un Papa che, al culmine del suo potere, ha compiuto un gesto assolutamente inedito di libertà – che ha stupito tutti – affinché un altro con più energie potesse guidare la Chiesa. Poi siamo stati testimoni dell’arrivo di Papa Francesco, che dal primo istante ci ha sorpreso con gesti di una semplicità disarmante, capaci di raggiungere il cuore di chiunque.

Negli ultimi anni la Chiesa è stata colpita da non poche vicende, a cominciare dallo scandalo della pedofilia; sembrava allo sbando, eppure anche nell’affrontare queste difficoltà è apparsa la sua diversità affascinante.

In che modo la vita della Chiesa può contribuire a misurarsi con l’attuale situazione italiana? Non credo intervenendo nell’agone politico come una delle tante parti e delle tante opinioni in competizione. Il contributo della Chiesa è molto più radicale. Se la consistenza di coloro che servono questa grande opera che è la politica è riposta solo nella politica, non c’è molto da sperare. In mancanza di un altro punto d’appoggio, si afferreranno per forza alla politica e al potere personale e, nel caso specifico, punteranno sullo scontro come unica possibilità di sopravvivenza. Ma la politica non basta a se stessa. Mai come in questo momento risulta così evidente.

Nella sua povertà di realtà piena di limiti, la Chiesa continua a offrire agli uomini, proprio in questi giorni, l’unico vero contributo, quello per cui essa esiste e Papa Francesco lo ricorda di continuo: l’annuncio e l’esperienza di Cristo risorto. È Lui l’unico in grado di rispondere esaurientemente alle attese del cuore dell’uomo, fino al punto di rendere un Papa libero di rinunciare per il bene del suo popolo.

Senza una reale esperienza di positività, in grado di abbracciare tutto e tutti, non è possibile ripartire. Questa è la testimonianza che tutti i cristiani, a cominciare da chi è più impegnato in politica, sono chiamati a dare, insieme a ogni uomo di buona volontà, come contributo per sbloccare la situazione: affermare il valore dell’altro e il bene comune al di sopra di qualsiasi interesse partitico.