Piuttosto che finire tra baite e stambecchi, molla tutto. Il Csm ha ribadito che Antonio Ingroia sarà trasferito alla procura di Aosta, come sostituto. E, alla sua richiesta di esser destinato alla Procura antimafia, o di poter esercitare l’incarico di presidente di Riscossione Sicilia affidatogli da Crocetta, ha risposto picche. L’ex pm di Palermo non l’ha presa bene. Ha lamentato l’intenzione punitiva del Csm e ha detto che, forse, lascia la magistratura. Eppure, non lo sapeva anche prima che sarebbe finita così? Lo abbiamo chiesto a Cosimo Ferri, giudice presso il Tribunale di Massa.
Ha fatto bene il Csm ha sbarrargli le porte dell’antimafia?
Non ha fatto altro che rispettare le regole di una circolare interna che prevede che nessuno possa esservi destinato in “concorso virtuale” ovvero, secondo quello strumento di gestione della mobilità utilizzato laddove non sia in corso una ordinaria procedura concorsuale. Detto questo, Ingroia è stato trattato molto meglio di molti suoi colleghi.
Di chi, per esempio?
Di Giuseppe Narducci: il quale, dopo essere stato Pm a Napoli, è entrato a far parte della Giunta di De Magistris. In rotta con quest’ultimo, si era dimesso dall’incarico, aveva chiesto di poter tornare in magistratura, e di essere ricollocato come Pm. Ma il Csm, trasferendolo a Perugia, gli ha negato la possibilità di tornare in procura, destinandolo all’attività di giudice, come ancora una volta prevede una circolare dell’organismo. Massimo Lusso, invece, pm a Palermo, poi assessore della Regione Sicilia, smessi i panni della politica è stato mandato a fare il giudice del Tribunale di sorveglianza di Napoli.
Questo cosa significa?
Che nei casi precedenti, in applicazione di un’interpretazione restrittiva delle norme, non è stato consentito al magistrato di ricoprire l’incarico assunto in precedenza. A Ingroia – come del resto ritengo giusto che sia – sì. Era pm a Palermo, è sarà pm in Val d’Aosta. Non è stato obbligato, quindi, a fare il giudice. Va anche detto che, al contrario, è stato trattato peggio, rispetto a qualunque altro dipendente pubblico, in merito alla sua richiesta di aspettativa.
Ci spieghi
Il Cms non gli ha concesso l’aspettativa per dirigere Riscossione Sicilia, mentre a tutti gli altri dipendenti pubblici viene normalmente consentito.
Come valuta il fatto che si sia candidato anche nella circoscrizione dove ha operato, nonostante la legge preveda, in tal caso, l’ineleggibilità?
Da magistrato che ha lavorato per far applicare le norme, candidandosi a Palermo ha ne violato una. Di certo, questo non gli fa onore.
Ora parla di intento punitivo. Non lo sapeva che candidandosi ovunque tranne che in Val d’Aosta, il Csm non avrebbe potuto destinarlo altrove?
Lo sapeva benissimo. Non è pensabile che non conoscesse le regole. La verità, è che era convinto di passare. E, preso dall’euforia, si è candidato pressoché ovunque senza prevedere la conseguenze.
Come giudica, invece, la decisione di non lasciare la magistratura una volta lasciata la politica?
In tal caso, Ingroia non rappresenta un caso isolato; si tratta di un problema che riguarda tutti i magistrati che entrano in politica e che, alle fine, del loro mandato rientrano in magistratura. Occorre capire come e se riconoscere ai magistrati i diritti che spettano a tutti i cittadini. E’ tempo che la magistratura apra, al suo interno, una riflessione. E’ evidente, infatti, che laddove un magistrato vada a toccare, nelle sue indagini, gli interessi della politica, è in grado di incidere negli assetti della Cosa pubblica.
Come si dovrebbe intervenire?
Dobbiamo tenere conto che il magistrato è un cittadino come gli altri, e ha diritto all’elettorato passivo. Si tratta di una norma costituzionale, che vedo difficile e poco opportuno modificare. Altresì, alcuni organismi come il Csm o l’Anm potrebbero invitare i magistrati al buon senso: un’operazione di moral suasion per dissuadere i magistrati dall’entrare in politica; un’iniziativa culturale volta a far comprendere come i giudici o i pm che si candidano lasciano disorientata l’opinione pubblica.
Vietare il rientro in magistratura è analogamente complicato?
No, è una questione diversa. Credo che, anche in tal senso, sia giunto il momento di avviare una seria riflessione. Se ammettiamo che non sia giusto che un magistrato, quando lascia la politica, si ritrovi senza lavoro, si possono contestualmente contemplare formule in grado di raggiungere un ottimo compromesso. Una soluzione potrebbe consistere nel riassorbilo nello Stato, per esempio, nell’avvocatura o in altri organismi dove potrebbe continuare a mettere al servizio la sua professionalità. Questo, salverebbe l’imparzialità della magistratura e i diritti del magistrato.
(Paolo Nessi)