A dar retta ai bookmakers inglesi, gente che se ne intende di soldi e di scommesse, il grande favorito della corsa al Quirinale sarebbe Romano Prodi, seguito a una certa distanza da Franco Marini e da Emma Bonino. Tre nomi, tre scenari diversi in una corse verso il colle più alto della politica italiana, dove l’imperativo per vincere è non bruciarsi, rimanendo coperti sino all’ultimo minuto.



Non è da escludere che questa volta gli allibratori della City stiano prendendo un granchio colossale. Prodi è il nome che magari può sembrare più plausibile visto dall’estero, ma in Italia le cose vanno in maniera diversa. E una sua elezione al Quirinale potrebbe avvenire solamente grazie al voto dei deputati a 5 Stelle, anche perché i primi franchi tiratori il Professore bolognese rischia di trovarseli in casa. Nei giorni scorsi circolava la voce di almeno una cinquantina di parlamentari del Pd pronti a firmare una lettera contro la candidatura di Prodi al Quirinale, e pronti quindi a tradirlo nell’urna.



Non meno difficile appare la partita di Emma Bonino, eterna candidata radicale, che deve scontare la diffidenza del mondo cattolico, tanto di destra quanto di sinistra, anche se in chiave garantista il suo nome potrebbe non risultare del tutto sgradito a Silvio Berlusconi.

Assai più canches, almeno agli occhi di un osservatore politico italiano, ha in questo momento l’ex presidente del Senato Franco Marini. Cattolico, moderato dentro il Pd e pure abruzzese come Gianni Letta, cosa che non guasta agli occhi del Cavaliere. 

Il mazzo delle carte, però, rimane saldamente fra le mani di Pier Luigi Bersani, che potrebbe decidere di rimescolare il mazzo e di offrire un nome differente da Marini, ma con un identikit simile: un esperto di politica non sgradito al centrodestra. I nomi alternativi a Marini potrebbero essere quelli di Giuliano Amato oppure di Luciano Violante, uno dei dieci “saggi” indicati da Napolitano, che ha saputo costruire solide interlocuzioni nel centrodestra, pur partendo tanto tempo fa da posizioni forcaiole. 



Nel transatlantico di Montecitorio in queste ore parlamentari e giornalisti si esercitano nel gioco del toto Quirinale, esercizio di fantasia che sforna un’ipotesi dietro l’altra. C’è chi sostiene che alla fine prevarrà il “metodo Grasso”, cioè un nome di prestigio lontano dai partiti. Il presidente del Senato rimane una possibilità, accanto a due donne, entrambe ministre del governo uscente, Anna Maria Cancellieri e Paola Severino.

Per Bersani il vero obiettivo rimane, però quello di favorire – insieme alla soluzione del rebus Quirinale – anche l’avvio di un governo che lo veda alla guida. Ecco perché ha respinto con una certa sorpresa la battuta di Roberto Maroni: “perché al Colle non ci vai tu?”. Sarebbe la quadratura del cerchio, che potrebbe aprire la strada a un governo di larghe intese. Ma Bersani non ci sta. 

Dietro la diplomatica risposta di essere interessato ai colli piacentini si nasconde proprio il disegno di riuscire a sfondare il muro che continua a dividerlo da Palazzo Chigi. Piuttosto il leader Pd sta riflettendo in queste ore sugli spazi che si possono aprire dietro il desiderio leghista di dar vita ad un governo al più presto, persino prima delle votazioni per il Capo dello Stato.

Non è un mistero per nessuno che al Senato centrosinistra, Scelta Civica e Carroccio i numeri per la fiducia sulla carta li avrebbero. E da un paio di giorni serpeggia la possibilità di un blitz per varare un esecutivo prima del 18 aprile. Ipotesi improbabile, ma non impossibile. Il pretesto lo potrebbe dare un vasto apprezzamento per il lavoro dei saggi del Quirinale. Certo, ciò non potrebbe avvenire senza un consenso più o meno tacito da parte di Berlusconi (che invece appare preoccupato dall’ipotesi), e soprattutto senza un’intesa praticamente chiusa sul nome del successore di Giorgio Napolitano.

Se così non dovesse essere, vorrà dire che le reciproche diffidenze avranno avuto il sopravvento, e come in un gioco dell’oca si tornerà alla casella di partenza. Nel frattempo è un fuggi fuggi dal ruolo di candidato: non solo Bersani, ma anche D’Alema si schermisce ed assicura di non essere candidato a nulla. È la tattica migliore per arrivare sulla poltrona più ambita, ma che tutti devono far finta di non volere per sé.