Il lavoro dei saggi si è concluso e, se il prossimo governo lo facesse proprio, eviterebbe di perdere tempo a ideare un programma. Gli esperti nominati da Napolitano per produrre una sintesi delle priorità del Paese hanno consegnato, ieri, le proprie relazioni. Mario Mauro, assieme a Luciano Violante, Gaetano Quagliarello e Valerio Onida ha fatto parte della commissione incaricata di indicare una soluzione ai principali nodi politici e istituzionali (l’altra si è occupata della tematiche socio-economiche ed europee). Gli abbiamo chiesto quali novità sono emerse.
Qual è stato il filo conduttore del vostro lavoro?
Il nostro sforzo, in sostanza, è consistito nel guardare più agli aspetti che uniscono che a quelli che dividono. E nel rendere evidente quanto sia necessario fare un governo presto e bene. Va detto che, per ragioni di brevità ed efficacia, i lavori sono stati condotti separatamente. Tuttavia, le due relazioni sono inscindibili. L’una è complementare all’altra. Ovvero: la commissione di cui ho fatto parte ha definito le regole del gioco; l’altra ha indicato lo schema di gioco per vincere la partita. Per intenderci, la parte relativa alla giustizia civile è stata inserita per ovvie ragioni nel documento istituzionale. Ma, evidentemente, ha profonde ricadute sull’intero tessuto economico ed è legata al recupero di competitività. Le aziende straniere, infatti, continueranno a non investire in Italia se la disciplina sul lavoro resterà incomprensibile e se la durata dei processi sarà sempre così estesa.
Il vostro lavoro sarà preso in considerazione e tradotto in misure concrete?
Questo lavoro rimarrà lettera morta se non ci sarà la volontà politica, da parte dei partiti, di anteporre alle loro parziali visioni il riconoscimento della necessità di dare un governo all’Italia.
Il vostro metodo sarà applicato anche nel corso dei lavori parlamentari?
Questo non possiamo prevederlo. Sottolineerei, in ogni caso, che in questi giorni non ci siamo limitati a parlare tra di noi.
Ciascuno di voi era espressione del partito di riferimento, o almeno della sua maggioranza?
Non in assoluto. Queste designazioni sono state fatte dal presidente della Repubblica prescindendo da un impegno dei partiti in quanto tali. Ribadisco, in ogni caso, che non ci siamo tenuti per noi le nostre riflessioni.
Perché il primo dei punti della vostra relazione riguarda proprio i partiti?
Perché il problema di ridefinire le regole del gioco passa attraverso la ridefinizione delle squadre. In tal senso, l’articolo 49 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale») non è mai stato applicato fino in fondo. Abbiamo cercato, quindi, di precisare i termini della questione in modo tale che i partiti non siano delle coorti ma della storie. Un gesto di buona volontà, oltretutto, per riconciliare la politica con la società.
Altro punto fondamentale è quello che riguarda la riforma delle legge elettorale.
L’importante è che si tengano presenti tre considerazioni fatte nel rapporto: entrambe le commissioni concordano sul fatto che l’attuale legge elettorale è sbagliata; è necessario riaffermare un principio di libera scelta da parte degli elettori; e salvaguardare la governabilità. Sono questi i paletti attorno ai quali discutere di che modello assumere.
Perché avete ritenuto di rafforzare i poteri del premier?
Uno solo, tra noi quattro, non era d’accordo nel preservare la forma della Repubblica parlamentare. Rafforzare i poteri del premier ha rappresentato un’apertura nei confronti di chi si è posizionato su un’ipotesi presidenzialista. D’altro canto, è necessario adeguare tempi e modi della politica a tempi e modi della realtà. Un parlamentarismo viziato da eccessivo trattativismo, che indebolisce le decisioni dell’esecutivo, in questo momento non fa il bene del Paese.
Cosa avete convenuto sulla giustizia italiana?
Siamo tutti d’accordo nell’immaginare un’azione della giustizia rispettosa dell’equilibrio dei poteri.
(Paolo Nessi)