Riportiamo l’intervista concessa al quotidiano Avvenire da Giorgio Vittadini e pubblicata oggi sul quotidiano della CEI.

«Il lavoro dei saggi è tutt’altro che inutile, riporta l’attenzione sulle questioni concrete, su tutto quello che i partiti sembrano drammaticamente aver dimenticato, portandoci alla situazione in cui siamo». Giorgio Vittadini non cambia idea. Per Vittadini l’idea della larga coalizione che incoraggiò – ospite Mario Monti – in apertura dello scorso Meeting non si è conclusa, anzi è solo all’inizio.



I partiti sembrano incapaci di andare oltre il proprio interesse.
Non è innanzitutto una questione politica, lo stallo attuale è una conseguenza dello smarrimento dell’idea di convivenza civile, di unità di popolo, un fattore antropologico prima che politico che rimanda alla perdita del senso dell’io, come ricordava don Carron nella lettera a Repubblica.



Quanto paghiamo una campagna elettorale in cui ognuno si è proposto come risolutore del tutto?
È l’effetto dell’idea sbagliata di politica che diventa tutto, e dell’uomo o del partito soli al comando. Un’idea avvalorata da alcuni editorialisti che hanno creduto applicabile al nostro Paese un modello di bipolarismo anglosassone che da noi ha creato disastri.

E ora siamo al tripolarismo dei veti incrociati. Come se ne esce?
Riprendendo in mano la cultura che si è tentato di cancellare come un problema, ma che ha fatto grande il nostro Paese: la capacità di rapportarsi con l’altro, con culture diverse, facendo emergere il meglio, le eccellenze. È da lì che bisogna ripartire.



E sulle riforme?
È vero il contrario di quel che si dice di solito: “Il Parlamento rallenta i tempi”, “Più poteri al governo”. È vero invece che il Parlamento deve tornare a essere il luogo del dibattito per trovare soluzioni condivise, confrontandosi nelle commissioni: l’idea di cambiare il Paese per Finanziarie è sbagliata e pericolosa, altro che più poteri al governo.

Bene quindi la spinta dei saggi sulla legge elettorale?
Abbiamo concepito un Parlamento di esecutori e di gruppi armati l’uno contro l’altro scelti direttamente dai vertici dei partiti. È una stortura che va assolutamente superata restituendo potere di scelta ai cittadini. Ma non basta la legge elettorale, serve un nuovo spirito costituente, come nel ’46.

Il lavoro dei saggi può aiutare?
Hanno fatto un lavoro enorme, ed è da lì che bisogna ripartire, sfruttando la felice intuizione di Napolitano di riportare il dibattito sui contenuti, sulla realtà, nominando persone di grande spessore.

Ancora larghe intese, quindi?

Serve un accordo vero e andare al voto più in là possibile, due anni è troppo poco. La Germania si è data 5 anni di larga coalizione, al termine dei quali è stato possibile ripartire dal via, in una sana competizione fra schieramenti. Non è giusto, e nemmeno leale, che i partiti abbiano rinnegato il loro sostegno dato al governo Monti. Servirebbe un ricambio, da un lato una svolta alla Blair, che è cosa diversa dalla rottamazione, e dall’altra il superamento del personalismo, del giustizialismo e dello statalismo che ha caratterizzato l’ultimo governo Berlusconi. Ma non vedo nè l’una nè l’altra cosa. 

Molti ritengono che proprio un’intesa Berlusconi-Bersani volta a salvare le rispettive leadership può favorire un accordo.
È auspicabile un accordo pieno sia sul governo che sulla presidenza della Repubblica, ma si deve anche avviare una fase di cambiamento. Fase in cui i cattolici debbono essere protagonisti in virtù dell’esperienza che portano e non per una egemonia. 

Anche Grillo vuole il cambiamento. 
Il programma di Grillo non lo condivido nel merito. Ad esempio quando sull’educazione punta tutto sulla scuola statale, non si rende conto che così si andrebbe a fondo. No, non è quello il cambiamento che serve al Paese.

 

(Angelo Picariello)