Il “senatur” Umberto Bossi smentisce categoricamente un abbandono dalla Lega Nord e soprattutto la creazione di un soggetto concorrente alla Lega di Roberto Maroni. Ma l’ultima settimana in casa leghista è stata probabilmente l’ennesima “prova di forza” all’interno del movimento che, all’inizio degli anni Novanta, contribuì in modo determinante a “mandare in pensione” la prima repubblica. Domenica scorsa, nel raduno di Pontida, ci sono stati momenti di grande tensione sul “famoso prato” tra la vecchia guardia fedele a Bossi e i supporters del nuovo corso tracciato da Maroni.
C’è chi ha parlato di cazzotti, altri hanno precisato che si è trattato solo di semplici spintoni. Dettagli di cronaca da “bar”, con sullo sfondo cori da stadio di seconda categoria. Ma il nervosismo è talmente palpabile che, ieri, una visita dal notaio con la moglie Manuela e alcuni fedelissimi, ha fatto diramare, niente meno che dall’Ansa, la notizia che Bossi avesse depositato il necessario per la nascita di un nuovo movimento.
Quando la notizia è andata in “rete” ci sono volute alcune ore per avere successive precisazioni dallo stesso senatur che ha telefonato direttamente a Maroni: “Macché nuovo partito! Qui c’è gente che parla troppo”. Quindi il take di un’altra agenzia l’Agi che precisava il Bossi-pensiero: “Non metterei mai in gioco mia moglie in queste cose. Si sono confusi con il giornale di cultura e identità creato da Giuseppe Leoni. E’ stata fatta solo un’associazione culturale. Nessuno strappo”. E’ possibile, probabile e naturalmente credibile che sia tutto vero, quello che precisa Bossi. Ma come non pensare che il senatur, anche attraverso un’associazione culturale, del suo più vecchio amico leghista, non stia facendo altro che contare i “suoi” per poi valutare quello che è ancora in grado di fare?
Per un’intera settimana la tensione in via Bellerio è stata al massimo livello per una serie di espulsioni da decidere. E tra queste ce ne è una che è pesantissima: quella dell’ex capogruppo a Montecitorio della Lega Nord, Marco Reguzzoni. Sarebbe proprio questa le decisione che avrebbe spinto il senatur a sbottare: “Questi sono matti, così me ne vado anche io”. Frase che comunque non avrebbe creato, apparentemente, grandi sconquassi nel nuovo gruppo dirigente leghista. Roberto Maroni ha solo ripetuto che di questa pratica se ne occupa Matteo Salvini e che ci sono nuove regole da rispettare stabilite dall’inizio di quest’anno. Mentre il sindaco di Verona, l’emergente e popolare Flavio Tosi ha fatto un commento al curaro: se Bossi se ne va, la Lega gli sopravviverà.
E’ facile comprendere che “l’anno orribile” della Lega, con il “cerchio magico”, “l’affare Belsito”, “le lauree del Trota”, gli “investimenti in Tanzania”, le “voci su Rosy Mauro”, i “diamanti” e chi più ne ha più ne metta, hanno lasciato un segno profondo nel popolo leghista.
L’azzeramento della vecchia gestione finanziaria, il “pensionamento presidenziale” di Bossi, la nuova linea di difesa soprattutto del Nord nella prospettiva della macro-regione, hanno al momento assicurato una dignitosa sopravvivenza alla Lega e un ruolo politico soprattutto nel Nord, in tre regioni chiave del sistema-Italia, anche se ormai traballante. Ma lo scontro tra la concezione di un partito retto da un leader carismatico e la calata in una politica a lungo respiro riemerge continuamente ed è destinato inevitabilmente a portare a una resa dei conti.
In una situazione come questa, è sufficiente un qualsiasi pretesto, una qualsiasi mossa dai toni ambigui per creare un allarme di secessione, non quella invocata per anni “da Roma”, ma all’interno dello stesso movimento lumbard.
C’è un’ulteriore considerazione da fare. E’ una prima considerazione di carattere storico dei nuovi partiti della cosiddetta seconda repubblica. Non ce ne è uno di questi partiti che si stia salvando da una sorta di radicali divisioni interne. Quando nacque “Forza Italia”, poi diventato Partito della libertà, nessuno poteva immaginare che si staccassero prima alcuni gruppi e poi leader del calibro di Gianfranco Fini e altri. Così nessuno poteva immaginare che, dopo il lungo travaglio di costruzione del Partito democratico, si arrivasse oggi a parlare di “rottamati” e di “rottamatori”, paventando addirittura un rischio scissione. La stessa cosa (che per altro è già avvenuta in anni passati) perché non dovrebbe avvenire anche nella Lega dopo venti anni di inconsistenza e di desolazione politica?