La commissione dei saggi scelti dal presidente Giorgio Napolitano ha presentato la sua relazione conclusiva nelle mani del capo dello Stato. Il Quirinale ha evidenziato le “posizioni comuni” dei saggi e incoraggiato le singole forze politiche ad “analoghi sforzi di buona volontà di intesa”. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Valerio Onida, uno dei saggi della commissione.



Per quale motivo nella relazione finale dei saggi si sottolinea che la legge elettorale deve essere cambiata?

La legge elettorale attuale va cambiata, perché ha due difetti fondamentali. Il primo è il premio di maggioranza senza soglia, con il 55% dei seggi a chi ha un voto in più degli altri. Ciò incentiva a formare coalizioni di qualunque tipo, anche eterogenee, pur di spuntare un voto in più, anziché scommettere su una proposta significativa, giusta e coerente. Il secondo difetto è che la designazione della candidatura è rigida, nel senso che non intervengono gli elettori, ma vi sono delle liste bloccate con tutto il potere nelle mani dell’apparato centrale dei partiti.



Quale opzione preferisce tra le diverse possibili riforme elettorali?

L’uninominale a doppio turno sarebbe un ottimo sistema, e a mio avviso il migliore. E’ vero che nel collegio uninominale alla fine vince un solo candidato, e quindi nel singolo collegio non ci sono rappresentanti delle minoranze. Condivido quindi l’idea di mantenere una quota di proporzionale per correggere questo effetto. Il pregio di questo sistema elettorale è che le affinità, e quindi la formazione di una maggioranza nel singolo collegio, avviene con il voto anche da parte di elettori che in partenza votano per candidati di formazioni e partiti diversi. Se nel primo turno nessuno dei candidati ha la maggioranza assoluta, nel secondo avviene un ballottaggio fra i primi due con gli elettori che scelgono sulla base delle affinità.



Attraverso quale di queste diverse soluzioni i cittadini possono tornare a essere protagonisti? Lei reintrodurrebbe le preferenze?

Ci vuole un sistema nel quale la formazione della maggioranza, a livello nazionale o nel singolo collegio, sia data dal 50% più uno degli elettori, e non anche dal 30% come con l’attuale sistema. La quota proporzionale può inoltre servire a dare rappresentanza alle minoranze, aumentando la partecipazione degli elettori. Per quanto riguarda le scelte all’interno delle liste, se si fanno grandi collegi è inevitabile che si ricorra alle preferenze. Mentre nei piccoli collegi, dove si eleggono solo tre o quattro deputati, ciascun partito si identifica con il volto di quei tre o quattro. Può quindi essere meno importante che ci sia la preferenza, in quanto ci si trova già all’interno di un sistema che dà agli elettori la possibilità di stabilire un rapporto più diretto con gli eletti. Da questo punto di vista il collegio uninominale è il migliore, perché chi è eletto è il rappresentante di quel collegio e sono gli elettori che lo scelgono.

A cosa serve l’albo dei lobbisti? Può diventare fattore di discriminazione rispetto a tantissime realtà che nascono in Italia?

L’albo dei lobbisti serve per rendere esplicito ciò che già oggi accade. Quando si discute una legge, specie se tecnicamente complessa, poniamo in materia di produzione e vendita di imballaggi, ci sono delle linee di indirizzo sulla protezione ambientale, e degli specifici aspetti tecnici che incidono sui vari interessi in gioco. Il Parlamento finisce spesso preda di pressioni dei rappresentanti degli interessi. Nel sistema dell’albo, in vigore in altri paesi, l’industria farmaceutica, ad esempio, può avere dei suoi rappresentanti, che vanno a discutere e hanno il diritto di essere ascoltati. Tutto prò avviene alla luce del sole e non sottobanco, o al limite estremo corrompendo. L’organo deliberativo è quindi del tutto libero di decidere sui vari interessi in gioco, motivando rispetto alla soluzione che può essere più o meno favorevole ad essi.

 

Quali sono invece gli elementi più importanti contenuti nella relazione sul tema della giustizia?

Con la relazione presentata dai saggi si punta a rendere più efficiente e tempestiva la giustizia. Il maggiore problema della giustizia in Italia oggi è quello dei tempi dell’ingolfamento degli organi giudiziari. Nella relazione si indicano precise misure, sia nel campo penale sia in quello civile. Quella italiana è una giustizia che non funziona, nel senso che spesso non rende il suo servizio. Attraverso una serie di misure si suggeriscono strade per combattere questo problema.

 

Nel documento, sempre in materia di giustizia, si afferma anche che uno dei problemi è quello di garantire meglio i diritti fondamentali. Che cosa si intende dire?

Da questo punto di vista, l’Italia ha un sistema che pur essendo aperto alla protezione internazionale e alla Corte europea dei diritti del’uomo, presenta delle lacune. Una di queste è per esempio dovuta al fatto che alla convenzione Onu sulla tortura non corrisponde nella nostra legislazione un reato di tortura. Nei famosi processi del G8 di Genova siamo arrivati a numerose prescrizioni perché le imputazioni potevano essere solo quelle previste dalle leggi vigenti.

 

Che cosa si afferma invece dal punto di vista della procedura?

Sempre nel documento, si lancia l’idea di introdurre una forma di ricorso individuale diretto, per violazione dei diritti fondamentali, di fronte alla Corte costituzionale, come accade in Germania o in Spagna. Invece di gridare all’ingiustizia quando un giudice adotta una certa decisione, se sono in gioco dei diritti fondamentali sarebbe possibile avere una sede nella quale fare valere eventuali violazioni dei diritti fondamentali, dall’equo processo fino ai principi in materia penale.

 

(Pietro Vernizzi)

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