Quasi due mesi dopo elezioni inconcludenti e senza maggioranza razionale, finalmente inizia la settimana decisiva per il Quirinale. Cosa ci si può aspettare? Che un presidente sarà eletto. Ma per l’Italia l’unico miglioramento visibile è che è arrivata (forse) la primavera. Confusa e in ritardo anche lei. Infatti, nella situazione politica attuale, che quella del presidente della Repubblica sia una buona scelta sarà frutto del caso, di una carambola fortunata. Un coniglio dal cappello.



Cosa servirebbe? L’Italia è travolta da tre crisi mortali: del sistema politico, delle istituzioni, del sistema economico. In questa situazione di sbando, negli ultimi anni il ruolo del presidente della Repubblica è diventato sempre più cruciale. Non solo garante neutrale, non solo simbolo di unità, ma un vero e proprio motore immobile che rappresenta l’Italia nel contesto internazionale nel momento in cui, chiunque diventerà premier, sarà espressione di un ceto politico poco credibile e per niente legittimato. Inoltre è un playmaker che favorisce un campo di azione per i partiti, suggerisce scenari di riforme. Infine tiene a bada la rissosità e le ingerenze della magistratura, interpretando in modo attivo il ruolo di capo del Csm. Poiché il Presidente della Repubblica è oggi tutto questo, prima ancora che un “nome condiviso” serve un politico vero, meglio se bravo. Non un papavero da società civile, non un nuovista da vetrina, non un estremista mascherato.



Ma se è chiaro cosa servirebbe, è dubbio che ci si riesca. E lo Spirito Santo, qui, non aiuta. E questo, nonostante la parola che retoricamente più si sente pronunciare sia “responsabilità”. Assieme al quasi sinonimo appiccicaticcio “condivisione”. Ma sono parole affogate in un quadro politico dominato da tre schieramenti parimenti irresponsabili, guidati solo da confusi interessi di parte.

Più semplice decifrare l’irresponsabilità dei grillini, con le loro pasticciate “quirinarie” e la loro lista di impresentabili e improponibili: dal mozz’orecchi costituzionale Gustavo Zagrebelsky a Milena Gabanelli, telegiornalista brava ma a zero competenza politico-istituzionale. Eppure, rischiano di essere decisivi nell’elezione del presidente della Repubblica. 



I due veri problemi della politica italiana sono però Pd e Pdl, ovvero Pierluigi Bersani e Silvio Berlusconi. Il segretario democratico che “non ha vinto” le elezioni da più di cinquanta giorni sta giocando una partita personalista: inseguendo Grillo, regalando alla retorica della società civile le presidenze di Camera e Senato, rifiutando ogni ragionevole apertura a un governo di larghe intese – che durasse qualche mese o di più – nel tentativo disperato di salvare la sua personale ghirba politica, e quella della sua rottamanda classe dirigente. 

Col risultato di aver gettato il Pd in una guerriglia siriana, di avere contro praticamente tutti, da Renzi a D’Alema, di aver persino suscitato dal nulla la figura di Fabrizio Barca, il nuovo Prometeo scatenato. Così ora, lui che forse si è convinto che una scelta condivisa per il Quirinale sarebbe utile, e la offrirebbe pure al Cavaliere, ha tre quarti del suo partito a impedirglielo e a remare per Romano Prodi, la scelta più sgradita a Silvio Berlusconi. E va da sé che anche un governo di larghe intese, o di emergenza, in questo quadro si allontana.

Tale è il disastro del Pd che fargli gol è facile come alla difesa dell’Inter. Tanto che ci riesce pure il Pdl. Persino Silvio Berlusconi, in questa fase, sembra incarnare i crismi della responsabilità: vuole un presidente della Repubblica condiviso, offre governissimi, non si oppone (quasi) a nessun nome. Non fosse che si tratta di un trompe-l’oeil ingannevole. A guardar meglio, la linea di Berlusconi è a responsabilità molto limitata. Bisognerebbe dimenticare che a licenziare un governo di larghe intese era stato il suo partito, e lui stesso a sfasciare preventivamente ogni possibile scenario condiviso per il dopo voto. Ha “non perso” le elezioni su una linea antieuropea e populista che oggi sarebbe costretto a rinnegare, se fosse chiamato al governo. Inoltre il suo veto minaccioso su Prodi – “sarà guerra civile”, “fuggiremo dall’Italia” – avrà anche molti e buoni motivi personali, o persino politici. Ma da un punto di vista formale, cioè sostanziale, non ha troppe ragioni d’essere. Anzi, rischia di aizzare il fronte a lui ostile, da Grillo a Vendola. È molto responsabile, tutto questo?

Che dal cozzo di queste tre irresponsabilità escano il Presidente perfetto e un campo politico praticabile, dopo le piogge di primavera, è improbabile, ma non resta che sperarlo. Che ne possa nascere una Grosse Koalition in grado di governare per più anni, è escluso. Ma rassegnarsi all’idea che si torni al voto a luglio, dopo quattro o cinque mesi senza governo, è impossibile. Il sole è tornato, chissà.