La lettera di Matteo Renzi a Repubblica ripropone non tanto il problema dei cattolici in politica, quanto l’uso che se ne fa. L’essere proposti in quanto cattolici non perché questo garantisca la fedeltà ad una tradizione di pensiero sociale e politico, ma solo perché, attraverso una tale strategia ed in modo perfettamente indifferente ai valori ed alla tradizione che il cattolicesimo rappresenta, si possa acquisire una fetta di consenso rilevante ed ambita, è avvilente. È triste vedere una tradizione di impegno civico, decisa da un’appartenenza e dalla fedeltà ad una religione, ridursi a semplice casacca elettorale.
Occorre un Presidente che eguagli in dignità chi va via e che, proprio alla pari di chi sta uscendo per limiti di età, sappia mettersi in contatto con l’Italia che vuole uscire dalla crisi, le ridia speranza, rispetto e autorevolezza. Ma mettersi in contatto con quest’Italia non può essere solo una formula retorica: vuol dire invece saper riconoscere quel patrimonio di intelligenza e di volontà, di idealità e di sacrificio che il nostro paese ha sempre saputo tirar fuori nei momenti di crisi. Possono farlo i cattolici come possono farlo i rappresentanti della altre due grandi tradizioni di pensiero: quella socialista e quella liberale. Il nuovo presidente dovrebbe credere in queste forze ed in queste tradizioni, saperle riconoscere e intercettare.
Ciò che quindi infastidisce non è che si faccia riferimento a Marini in quanto cattolico, quanto che si rientri nel linguaggio di una politica di palazzo indifferente al presente. Una tale frase avrebbe potuto essere pronunciata venti o trent’anni fa: è una frase senza tempo pronunciata in un Paese che invece di tempo non ne ha più. Non si può essere presi in considerazione solo per fare da supporto ad un universo politico che non sembra ancora avere colto la pendenza della china sulla quale ci siamo incamminati e l’accelerazione in discesa che stiamo registrando.
Credo che l’essere cattolico significhi appartenere ad una tradizione di impegno civile, di presenza e di attenzione per tutti, di preoccupazione sincera per il futuro dei giovani e delle famiglie. Credo che all’essere cattolico corrisponda il desiderio di una società dignitosa e civile, fedele al desiderio fondativo e generativo che c’è nell’uomo: le premesse ci sono e quanti già le hanno messe in pratica anche. Ma occorre che la politica sappia cogliere il patrimonio prima delle casacche, le radici forti ed i valori alti prima degli schieramenti, sappia essere sensibile verso i principi di una società condivisa, alla quale bisogna sentirsi onorati di appartenere. I cattolici hanno contribuito a costruirla, spesso dalla base più che dai vertici, dalla rete delle opere e dall’onestà dell’impegno, più che dalle strategie di potere, spesso deludenti.
Non è errato in sé proporre Marini perché cattolico, è errato proporre un cattolico senza tenere conto di ciò che questo rappresenta, come se l’essere cattolici sia una maglia buona per qualsiasi avventura pur di ottenere potere, non indichi invece un desiderio ma solo una collocazione, non segnali una speranza radicale ma solo una postazione parlamentare. Questo ricorrere alle casacche e rincorrere le etichette ignorando le radici e tralasciando cosa rappresentino sembra essere l’espressione di una politica che ritiene di poter trascurare quelle energie vitali che invece deve ravvivare, quelle tradizioni di pensiero che invece deve saper recuperare. Ma sembra anche essere il portato di una religione ridotta a semplice collocazione di potere, dove l’incarnazione di Dio non solo non ha cambiato la faccia della terra, ma nemmeno il senso dell’appartenenza. Tanto l’una quanto l’altra non hanno più tempo, né credito.