“L’elezione del presidente della Repubblica pone Bersani di fronte a un bivio: da un lato il colpo di mano con l’aiuto di una parte dei deputati del M5S, dall’altra la scelta di una figura di sinistra che non dispiaccia a Berlusconi. La prima opzione porterà il Pd all’implosione, la seconda può sgonfiare il fenomeno Movimento 5 Stelle”. Ad affermarlo è Ugo Finetti, condirettore di “Critica sociale”, a commento delle polemiche che stanno lacerando il Partito Democratico.
Qual è il senso della lotta che negli ultimi giorni si sta consumando all’interno del Pd?
Si trascina un dualismo che è stato più volte notato, e che è emerso nello “scontro” tra Napolitano e Bersani. Napolitano indica una linea istituzionale e di salvaguardia di parametri nazionali. Bersani d’altra parte esprime un atteggiamento di ricerca di consensi di stampo movimentista. Si ripete una vecchia dialettica che ha le sue origini nel Pci, al cui interno c’era chi pensava allo sviluppo dei rapporti politici con gli altri partiti e chi invece privilegiava la scelta di guardare ai movimenti, perseguendo un disegno che consisteva nell’egemonizzare lo schieramento basandosi su interlocutori secondari.
Perché continuano a riproporsi ancora oggi queste vecchie dinamiche?
Leggi elettorali raffazzonate e l’incapacità di scelte politiche coerenti hanno portato a una sconfitta del maggioritario. Si sono cioè affermate più polarità, e dalle elezioni è emerso un tavolo a quattro anziché a due. Di fronte a questa situazione transitoria, il Pd è il partito di maggioranza della coalizione più forte ma che non ha vinto. Ora ha di fronte a sé la possibilità di scegliere un capo dello Stato concordato e non di frontiera, con una soluzione che consenta una tenuta anche sul piano internazionale.
Che cosa accadrebbe se Bersani optasse per un presidente condiviso?
Si tornerebbe al primo scenario delineato da Bersani subito dopo avere conosciuto il risultato elettorale. La sua prima reazione era stata quella di tornare subito al voto. Poi si è corretto, ma la linea del segretario del Pd rimane quella. Ciò è facilitato dal fatto che anche Berlusconi ha lo stesso obiettivo. In questo modo Bersani e Berlusconi potrebbero portare avanti una campagna elettorale contro Beppe Grillo e contro Mario Monti, e avrebbero quindi una possibilità di risalita. L’elettorato di sinistra che ha votato Grillo vedrebbe così che quello per il M5S è un voto inutile e che rischia di favorire Berlusconi.
E quindi?
Il tanto vituperato streaming di Bersani con i grillini, in realtà è una carta che il segretario del Pd può giocare nella campagna elettorale. In questo modo potrebbe mostrare all’elettorato del M5S più vicino alla sinistra che lui ha fatto di tutto per raggiungere un accordo, ma Grillo non ha voluto cedere e non ha consentito una svolta a sinistra.
Alla luce delle ultime evoluzioni, come vede il futuro del Pd?
Tutto dipende da che cosa accadrà nell’elezione presidenziale. Bersani si trova di fronte a un bivio: da un lato c’è il colpo di mano, dall’altra l’accordo con il Pdl. E’ da questo che dipenderà il fatto che il Pd rimanga compatto oppure che imploda. La via più sicura dovrebbe essere quella di individuare un candidato del Pd accettabile da parte di Berlusconi. A quel punto Bersani avrebbe di fronte a sé una linea retta: fare il governo, non avere la fiducia e andare alle elezioni in polemica con Grillo, cercando di recuperare parte dell’elettorato del M5S.
Eppure Bersani finora non è sembrato volere entrare in competizione con Grillo …
Bersani finora ha perseguito con tenacia una linea di tallonamento dell’elettorato del M5S. Se ora comincia a improvvisare e a farsi strattonare, avventurandosi nel tentativo di compiere un colpo di mano e di avere un presidente della Repubblica con voti grillini, il segretario del Pd si espone a una reazione frontale di Berlusconi e a un attacco interno molto insidioso da parte di Renzi.
Che cosa rappresenta da un punto di vista ideale lo scontro tra Renzi e Bersani?
In Bersani c’è una forte cultura che si porta dietro dal Pci, e che privilegia la cosiddetta “altra Italia”. Punta quindi tutto sulla cultura di sinistra dell’Italia, sui movimenti e sugli antagonismi. In Renzi invece vi è una cultura non di rottura, che tende a essere di pacificazione e non cerca una legittimità nella “guerra civile”. Bersani al contrario persegue una linea di continuità della “guerra civile”, lungo la retta Fascismo – Sessantotto – Mani pulite. Lo spirito identitario del segretario del Pd è ancora questo, e ciò privilegia il dialogo e la ricerca di consensi antagonisti.
(Pietro Vernizzi)