Spiace per Franco Marini, una brava persona e una persona tenace, triturata dalle divisioni di un partito che lui aveva contribuito a fondare, fidandosi dell’anima popolare dominante in questo paese, l’anima che lui ha sempre rappresentato, nel sindacato, in politica. L’illusione che oggi come un tempo l’Italia potesse ripartire dalle origini che l’hanno fondata, un patto di saggezza e realismo tra le forze radicate tra la gente che dalla gente e per la gente sono nate e vogliono operare.
E invece, gli eredi dei gloriosi Dc e Pci non hanno più la stoffa, l’intelligenza e il cuore. Dilaniati da interessi personali o di bottega, sospettosi l’uno dell’altro, e anche nelle loro schiere, incarogniti da battaglie ad personam di cui la gente s’è stancata e non vede il fine. Non hanno saputo stare insieme, il bianco e il rosso, tentati da spinte centrifughe che hanno visto fallire prima l’Ulivo, poi i suoi derivati, che il populismo muscolare di Grillo ha sbandato verso un radicalismo divisivo.
Ha ragione qualche residuo di buon senso della nostra politica, a ricordare che in Italia il germe del fascismo cova sotto la brace, s’innesta sul malcontento, lo cova, lo sfrutta, lo fa esplodere. Non importa se il termine storicamente sia in disuso, sbandierato al più da chi evoca fantasmi per alimentare le piazze. E’ uno status, una costante della nostra politica, e meno male che finora i vaffa e lo spirto distruttivo sono stati contenuti dall’equilibrio di un Parlamento forse non brillante, forse non esemplare, ma certamente attrezzato alla diplomazia, al confronto democratico e capace di annusare i pericoli nell’aria. Oggi non è così, e avanzano schiere di giovani arroganti e presuntuosi, che sulla base di una superiorità anagrafica chiedono di rovesciare il sistema. Dopo, non sanno che fare, ma intanto rovesciano.
Appoggiandosi con più o meno coscienza ai soliti poteri forti che subdolamente dominano da settant’anni la vita del paese. Quell’azionismo che ha dato i suoi uomini ai vertici dello Stato, delle sue partecipate, delle banche, che siede nelle lobbies che contano a livello internazionale, che vanta una grandeur morale indiscutibile, che affida loro di diritto ai ruoli guida, i ruoli chiave. Ne abbiamo seguito le gesta grazie al consenso della grande stampa, dell’alta cultura, venata di quel radicalismo chic che svilisce quel popolo che vorrebbe cambiare. Quel popolino che vota Berlusconi o frequenta ancora le feste dell’Unità, per intenderci, che affolla le feste di paese, meglio se con vescovo e sindaco insieme, e storce il naso davanti a tecnici e professorini dell’ultim’ora che pretendono di spiegarci e migliorarci la vita. Cosa che non è mai avvenuta.
Dunque, fuori Marini, un sindacalista, uno che s’è fatto le ossa sui temi dell’economia e del lavoro, come se non fossero questioni rilevanti per il paese. Dentro magari un intellettuale che è stato quattro volte parlamentare, parlamentare europeo, ma è che è tanto fuori dalla casta da essere tra i fondatori di Repubblica, per esempio.
Niente di personale, ma il fatto che sia socio onorario di un’associazione che si occupa della depenalizzazione dell’eutanasia, qualche problema dovrebbe darlo per esempio all’anima cattolica del Pd, quella cui vanta di appartenere Renzi. Che proprio a Repubblica ha affidato le sue riflessioni liberali, spiegando che un Presidente non lo si elegge in quanto cattolico, ma in quanto rappresentativo e garante dell’unità del paese. Non importa se è un candidato lontanissimo da lui e da quel papa Francesco che nomina come modello di un’era nova. Se è in grado di parlare fluidamente in inglese con Obama… Su, un po’ di coraggio, sindaco, non siamo sempre da Amici. Un candidato per spaccare il Pd e far fuori Bersani, questa la verità, e se l’ambizione è lecita, la pazienza e l’attesa dei tempi giusti sono il segno di una grandezza politica. Renzi che appoggia Rodotà. Che curiosamente piace tanto a Grillo, che voleva un rinnovamento della classe politica. Un homo novus, appunto. Un uomo giovane. E pure il comico si appella a papa Francesco, che fa tanto trendy, di questi tempi.
Peccato davvero che Bersani ci abbia messo tanto a scegliere per il bene dell’unità vera del paese. Che non abbia seguito alla lettera i consigli di Napolitano, fregandosene di fiorentini, turchi e compagnia. Doveva azzardare subito, spiazzando, le sue mosse, senza tentennamenti e tortuosità. Insieme per le riforme, e poi al voto, ognuno per la sua strada. Mettere Grillo a fronte di qualche responsabilità, facciamo capire agli italiani che gioca allo sfascio, e nient’altro. In questo Renzi ha ragione. Doveva osare o ritirarsi, Bersani. Non regalarci a vent’anni di distanza il bis tragico della ferita che portò alla fine della Dc. I supponenti onorevoli che lui ha portato al potere non l’hanno a cuore, né il suo partito né il paese. A loro bastava arrivare, e sorridere come le magliaie di rivoluzionaria memoria, che sferruzzavano compiaciute mente nelle piazze si ergevano le ghigliottine.