Oggi si inizia a eleggere il presidente della Repubblica, cui spetterà il compito di traghettare il Paese fuori dalla crisi. Al di là dei recenti incontri tra Berlusconi e Renzi, tra Berlusconi e Bersani di alcuni giorni prima e dell’accordo che sembra essere stato raggiunto, ieri, tra Pdl, Pd e Scelta civica sul nome di Franco Marini, la prudenza è d’obbligo. Che i partiti stiano ancora trattando sottobanco? Abbiamo chiesto a Calogero Mannino, che di presidenti ne ha eletti parecchi, una sua valutazione del momento politico.



Si è mai vista una situazione del genere?

Ogni elezione del presidente della Repubblica ha una sua storia. Ce ne sono state alcune decisamente controverse e contrastate, altre più condivise e connotate da una generale consapevolezza da parte delle forze in campo. Non è mai successo, tuttavia, che nessuna forza politica fosse in grado di avanzare un’ipotesi senza provocare irrimediabilmente il veto delle altre. In particolare, nessun candidato gradito all’M5S potrà mai andare bene al Pdl e viceversa. Questo, ovviamente, dipende dal risultato elettorale, che ha introdotto una serie di tripolarismo con tre partiti perdenti. A questo, si aggiunge la crisi profonda in cui versa, al suo interno, il partito che – sulla carta – ha vinto. E che, non avendo ottenuto una vittoria piena, non può fare altro che ricollocarsi a sinistra, come sempre è avvenuto in passato.



Questo cosa implica?

Vede, il Pci, quando si indeboliva, rispolverava lo slogan: “nessun nemico a sinistra”. In questa particolare situazione, Bersani non ha potuto fare altro che inseguire Grillo. L’unico partito collocato a sinistra del Pd ma, contestualmente, alternativo al Pd. E’ evidente che, così facendo, gli è sfuggito tutto di mano.

Intanto, pare che Pd, Pdl e Scelta civica abbiano trovato un accordo sul nome di Franco Marini. Cosa accadrebbe se così non fosse?

Il Pd, per eleggere un presidente senza il Pdl, dovrebbe portare via una cinquantina di voti all’M5S. Ma, da un lato, è del tutto inverosimile che Grillo consenta l’operazione, essendo oltretutto convinto che gli convenga andare a elezioni anticipate il prima possibile; dall’altro, Bersani non avrebbe nessun interesse ad accordarsi con Grillo perché quest’ultimo, come è ormai chiaro, non gli concederebbe comunque i voti per creare un governo.



Quindi?

Pd e Pdl dovrebbero convenire sul fatto che non sono in grado di accordarsi sul Quirinale, sul governo e neppure sulla riforma della legge elettorale.

Che alternative resterebbero? 

Sono solo tre gli altri nomi realmente “papabili”: D’Alema, Amato e, più di quanto non sembri, la Finocchiaro. Infine, eleggere nuovamente Napolitano. Affidandogli l’incarico di “tenere tutti buoni” affinché possa nascere un governo che, quantomeno, abbia i voti di entrambi.

 

Non crede che la Finocchiaro sia stata bruciata dalle invettive di Renzi?

In realtà, continua ad essere tra le poche del Pd in grado di gestire la mediazione con il Pdl e di comprendere la direzione istituzionale da conferire al Paese.

 

Berlusconi continuerà a pretendere che la partita per il Quirinale e quella per il governo siano congiunte?

Pretenderà di avere voce in capitolo anche sul governo. In ogni caso, non dimentichiamo che con Amato e con D’Alema nascerebbe il cosiddetto governo del presidente, magari con una connotazione più spiccatamente politica, di cui i tecnici di area berlusconiana potrebbero far parte. Anche con la Finocchiaro e con Napolitano sarebbe prevista un’opzione simile. Non dimentichiamo, infine, che il premier potrebbe essere proprio Amato.

 

Non crede che anche Prodi possa avere qualche chance di essere eletto?

Francamente, non vedo perché Bersani dovrebbe appoggiarlo rispetto alle suddette ipotesi.

 

(Paolo Nessi)