Come volevasi dimostrare. Era un copione scontato. Forse sarebbe troppo attribuire al Bersani crozziano l’astuzia strategica di immolare Marini per giocarsi in seconda battuta l’unica carta davvero vincente, quella di Prodi. Forse è stato catapultato dagli eventi, la famosa pallina sul piano inclinato. Ma non poteva che andare così. Il nemico, per mezza Italia, è Berlusconi. La mezza Italia cui Bersani ha chiesto collaborazione voleva solo la fine di Berlusconi, la vendetta su Berlusconi. Nessun accordo possibile, solo le barricate, la parola fine, illusi che con lui finisca una classe politica, avanzi il nuovo, la moralità, la giustizia. Il nuovo ha il volto di uno che chiamano professore, che di Berlusconi è stato il competitor più tenace e pericoloso. Un politico di lungo corso, un uomo di tanti poteri, che conosce e attraversa tanti segretid’Italia, un uomo capace di memoria a lungo termine, e non tarderanno ad accorgersene quelli che gli si sono messi di traverso lungo la sua carriera, in primis D’Alema.
Prodi al Quirinale, sette anni. Prodi che trova l’appoggio grillino (quelli che volevano gli uomini nuovi, appunto) e che non scioglierà affatto le camere, come grida affannato il Pdl. Darà un incarico qualunque per un governo che sarà sicuramente sorretto e stampellato, foss’anche al solo fine di votare l’arresto di Berlusconi. Sarà contento il centrodestra, che ha sprecato una maggioranza solida, un patrimonio di voti e tante idee liberali che sulla carta parevano un sogno. Sarà contento il capo del centrodestra, che ha sprecato rincorrendo notti bollenti e ragazzine autorevolezza e consensi. Saranno contenti quegli pseudo moderati di area centro, che si sono illusi bastasse un signore col loden, ad ammantare di purezza il sistema. Illuse certe gerarchie ecclesiastiche, più attente all’immagine che alla sostanza, cioè a quella libertà di esistere, parlare e operare che finora gli era stata garantita. Altro che temi etici. Altro che Zapatero.
Un Parlamento dove dominano grillini, grillini del Pd, perfino in Scelta Civica, oltre a giovani turchi e vendoliani, e qualche intellighenzia formato Il Fatto e Repubblica, me la vedo a sostenere le scuole paritarie, la legge 40, il testamento sul fine vita, la famiglia tradizionale, la sussidiarietà. Sarà contento Renzi, che spera ancora di ascendere a palazzo Chigi con questa compagnia di giro tanto lontana dalla sua cultura e dai suoi millantati propositi. Che può fare l’ambizione.
Perché non è Prodi il problema, a parte la simpatia o l’antipatia personale. Il Coll, la funzione, modifica l’uomo, e comunque, parce sepultis, abbiamo avuto Presidenti di parte e anche un po’ rancorosi, per dirla con un eufemismo. Il problema è l’accordo su cui Prodi si innalza al Quirinale, il tunnel in cui si è infilato il Pd, che apparentemente si rinsalda e torna alle sue origini, al fondatore di quell’Ulivo che è stato solo una sigla, subito spezzettata in troppe anime diverse e incompatibili.
Il fu Ulivo e il fu Pd cedono all’iconoclastia grillina, ai grillini mascherati portati a frotte alle Camere da chi credeva di rincorrere l’onda, di contenere le perdite. Il problema non è Prodi: il problema è credere di risolvere il dramma del paese e la crisi in atto ancora una volta concentrandosi su Berlusconi. Li abbiamo sentiti ieri sera da Santoro: Rodotà, Prodi, chiunque possa vantarsi di aver sempre e solo combattuto il Cavaliere ha diritto di rappresentare l’Italia perbene, l’Italia pulita. E gli altri, quei dieci milioni di corrotti e inetti e impresentabili, che possono fare? Imparare dagli errori, inventarsi una leadership, compattarsi su valori non di facciata, ma riconosciuti e seguiti.
In fondo, anche Zapatero è solo un ricordo. In fondo, la libertà tocca saperla conquistare, non sfruttarla per i propri interessi, personali o di parte. La libertà è fatica quotidiana, non parola da gridare nelle piazze alternata ai Silvio Silvio, pensaci tu. Sarà dura, adesso, per chi sarà messo all’angolo e non potrà che giocare in difesa. Sbagliato. Se ci si crede, si gioca d’attacco, senza dimenticare il senso di responsabilità, perché i fuochi non divampino, e il paese non piombi in uno stato di guerriglia di cui non si vede la fine.