Nuova fumata nera a Montecitorio per l’elezione del presidente della Repubblica. Romano Prodi, candidato a sorpresa ieri mattina dal Partito Democratico, non ha raggiunto i 504 voti necessari per salire al Colle, fermandosi a 395. Di fronte al clamoroso flop, il Pd ripiomba in una crisi senza fine: Bersani, a colloquio con Letta e Franceschini subito dopo la conclusione della quarta votazione, si ritrova di fronte a quel centinaio di “grandi elettori” di centrosinistra che evidentemente non gli hanno perdonato la precedente candidatura di Franco Marini. Un nome, questo, che sembra aver creato fratture insanabili all’interno del partito, tanto che questi “franchi tiratori” hanno preferito indirizzare gran parte dei propri voti su Stefano Rodotà, candidato al Quirinale dal Movimento 5 Stelle. Abbiamo fatto il punto della situazione con Ugo Finetti, condirettore di “Critica sociale”.
Cosa crede sia accaduto durante la quarta votazione?
Su Franco Marini abbiamo visto un dissenso palese, aperto, nonostante abbia poi ottenuto 521 voti grazie anche al Pdl, mentre Prodi è stato “impallinato” nel voto segreto. Anche se in assemblea hanno preferito non manifestarsi, in questa quarta votazione abbiamo visto un centinaio di franchi tiratori venir fuori per impedire a Prodi di diventare il nuovo presidente della Repubblica. Bisogna però fare una considerazione.
Quale?
Se Marini ha raccolto 521 preferenze, significa che il Pd è effettivamente in grado di far salire al Colle un proprio candidato, ovviamente attraverso un accordo di coalizione da attuare in tutta fretta. Francamente non capisco come Bersani possa procrastinare ulteriormente una scelta ormai obbligata e continuare a non guardarsi intorno in cerca di un’alleanza.
Probabilmente dovrà prima risolvere le evidenti fratture interne al partito.
Questo è certo. Tutta la polvere nascosta sotto il tappeto negli ultimi vent’anni è emersa proprio nel momento in cui il Pd si ritrova con la maggiore responsabilità. Adesso il partito si sta inevitabilmente sfaldando ed è ormai evidente che la sinistra italiana sta trascinando una sorta di complesso di inferiorità nei confronti dell’estremismo. Bersani deve quindi assumere una volta per tutte una posizione realistica.
Accettando la proposta di Grillo e votando Rodotà?
Votare il candidato di Grillo significherebbe semplicemente arrendersi e sventolare definitivamente bandiera bianca di fronte all’estremismo di cui le parlavo, soprattutto quando vi è l’effettiva possibilità di far avanzare un proprio nome verso il Colle, come quello di Marini o di D’Alema. Difficilmente, quindi, Bersani potrà mai accettare di votare Rodotà.
Quale crede sia stato invece il maggiore errore con Prodi?
Avrebbero dovuto rivolgersi direttamente a lui, chiedendogli di fare il candidato ed evitare così di permettere ai franchi tiratori di organizzarsi in questo modo. Dopo quanto accaduto, invece, si è messa in moto una logica fratricida in cui, di volta in volta, un gruppo di franchi tiratori mette fuori gioco il candidato dell’altro gruppo. Non è facile venir fuori da una situazione del genere, quindi il Pd deve rendersi finalmente conto di essere il perno della governabilità e comportarsi di conseguenza.
Ne sarà in grado?
Se saranno così incapaci di esprimere un presidente della Repubblica, allora gettino la spugna e scelgano di rieleggere Napolitano “pro tempore” con l’obiettivo di tornare al voto il prima possibile, con tutto ciò che questo potrà comportare. Quello che è certo è che non si può continuare a trascinare il Paese in un simile labirinto di inconcludenza.
Un’altra soluzione quale può essere?
Potrebbero tornare su Marini, il quale è stato di fatto già eletto presidente della Repubblica. Ha ottenuto 521 voti, dimostrando quindi di essere in grado di mettere d’accordo la maggioranza dei “grandi elettori”. Le soluzioni sono queste, anche perché se il Pd dovesse scegliere di cercare un nuovo candidato non farebbe altro che aprire una ferita ancora più grossa e dolorosa.
(Claudio Perlini)