Il “semplicismo” dei “ragazzi” (anche se si battevano per un professore ottantenne) di Beppe Grillo ha semplicemente perso la battaglia del Quirinale. Fanno fatica ad ammetterlo non solo i “grillini”, ma anche i vari “tifosi” del “Movimento 5 Stelle”, sparsi qua e là tra la sinistra del Partito Democratico e dell’ala sinistra del centrosinistra, la Sel di Nichi Vendola, i guru che si acquattano tra le pieghe del vecchio giustizialismo italiano e anche alcuni commentatori di giornali che in questi anni hanno alimentato le loro fortune editoriali prendendosela solo con una parte della “casta”, quella politica, e dimenticandosi, sbadatamente, dei misfatti di ingiustizia sociale operati dai loro editori impuri, con in primo piano gli esponenti della grande finanza che si occupa, chissà per quale ragione, anche di editoria e di giornalismo e che, sbadatamente, non sono mai stati classificati come “casta”.
Il vecchio e traballante sistema politico e istituzionale italiano si è salvato dall’ondata “moralistica” per “il rotto della cuffia”, ricorrendo, per la prima volta nella storia della Repubblica, alla rielezione del Presidente uscente, un signore di 87 anni, vecchio comunista diventato da lungo tempo riformista, che, fortunatamente, conosce la politica meglio dei “nuovisti” di quest’epoca confusa.
La partita non è finita, ma questa volta il “grillismo” è andato a sbattere contro il minimo di buon senso che era rimasto e contro un ragionevole compromesso tra le forze politiche presenti in Parlamento. La partita per il Quirinale era complessa, con molti protagonisti che agivano fuori e dentro il “retrobottega”. Ma il secondo tempo di questa partita è ancora complesso in vista della formazione di un futuro governo, di larghe intese, di scopo, presidenziale o via cantando.
Beppe Grillo, a un certo punto, l’ha avuta in mano questa partita, quando è stato “silurato” Franco Marini. L’ex comico era riuscito a lanciare un altro candidato di sinistra, Stefano Rodotà, a mettere in luce i contrasti insanabili all’interno del Partito Democratico, e porsi come punto di riferimento di molti interessati protagonisti alla disgregazione del sistema. Avesse fatto confluire i voti dei suoi “ragazzi” su Romano Prodi avrebbe sbaragliato Silvio Berlusconi e spaccato il Pd e il centrosinistra.
Ma Beppe Grillo ha voluto stravincere, ha voluto quasi umiliare Pier Luigi Bersani costringendolo alle dimissioni e lanciando una autentica “opa” su tutto il Pd, puntando anche su un tantino di avventurismo di Matteo Renzi. A quel punto ha provocato un sussulto di reazione persino in un partito “colpito a morte” ed è rimasto con il suo candidato perdente, sperando nelle contraddizioni insanabili del sistema. Questa volta non gli è andata bene, come probabilmente aveva pensato.
E’ stata talmente violenta la reazione dell’ex comico al risultato ottenuto da Giorgio Napolitano, che non si è solamente rivolto alla piazza , ma ha addirittura parlato di “colpo di stato” (clicca qui per la conferenza stampa in diretta streaming di Beppe Grillo e dalle 15 per la manifestazione in piazza Santi Apostoli). Secondo la logica democratica di Beppe Grillo, un Parlamento liberamente eletto diventa golpista, anche se sceglie un Presidente della Repubblica con oltre settecento voti su mille, contro un altro che ne prende un po’ più di duecento. Forse in un impeto di adrenalina e di “passionalità”, l’ex comico questa volta ha proprio “sbroccato”.



La sequenza delle reazioni “grilline” alla rielezione di Giorgio Napolitano è tutta da analizzare nelle dichiarazioni e nelle smentite. La piazza tumultuante di Montecitorio e le altre manifestazioni non sono state , per i responsabili del “M5S”, organizzate dal movimento, ma solo frutto dello “spontaneismo” di gente esasperata. Nella diretta streaming, i responsabili del movimento hanno precisato che “colpo di Stato” era una delle “tante iperboli che usa Beppe”. La stessa “calata” a Roma che Grillo aveva promesso subito è stata posticipata, ora dopo ora. E la manifestazione, con il comizio del leader che doveva svolgersi ieri sera, è stata rinviata a oggi. Vista solo la ferma reazione dei nuovi Presidenti delle Camere, la stessa precisazione di un imbarazzato Stefano Rodotà, si potrebbe dire che Grillo ha pensato di “partire come Don Chisciotte, per poi arrivare a Roma come Sancho Panza”. O più probabilmente, i protagonisti che giocavano sullo “scardinamento” del sistema, hanno consigliato all’ex comico maggior prudenza, toni più bassi, più meditati, più felpati, proprio in vista della partita per il Governo da formare. 
Ora ci si chiede che cosa può accadere nei prossimi giorni. E’ probabile che con l’implosione del Pd si arrivi definitivamente a un chiarimento interno, in mezzo alle macerie di quel partito, tra un’ala riformista e pragmatica e un’ala che andrà a collocarsi a sinistra, magari insieme alla Sel, alla platea affollata del giustizialismo italiano e a fianco del movimento “grillino”. Dietro a questi soggetti politici variegati, ci saranno sempre gli interessi di chi vuole l’Italia ridotta a una instabilità permanente, a una conflittualità endemica sul piano interno e a una marginalità internazionale.
La partita non sarà facile e, di fronte alla crisi economica che si sta vivendo, il rischio di una deriva è sempre presente. Questa volta il minimo di buon senso e di ragionevolezza che è servito per creare la “diga” di Giorgio Napolitano, non può permettersi altri errori gravi. Questa volta le forze politiche devono operare le necessarie scelte politiche per ridare fiato all’economia, alle imprese, alle famiglie. Questa volta è inutile barricarsi dietro alla demagogia della “più bella Costituzione del mondo”, ma operare una serie di riforme istituzionali che sono ormai improcrastinabili. La rielezione di Giorgio Napolitano è un’altra chance per la Repubblica. E’ sperabile che non sia l’ultima.

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