Contrariamente a come la pensa Beppe Grillo, la Repubblica non è morta, anzi, ha dato un segnale di vitalità. Dopo le pessime figure cui si è masochisticamente sottoposto il Partito democratico, prima con la bocciatura di Franco Marini, loro leader storico, una persona con un curriculum indiscutibile di vicinanza al mondo del lavoro negli anni del sindacato e di sobria rappresentanza nelle istituzioni come presidente del Senato, poi con quella di Romano Prodi, per ben due volte presidente del Consiglio di governi di centrosinistra. Marini era persona che univa, e per questo è stato sacrificato sull’irrazionale altare dell’antiberlusconismo. Prodi era persona che divideva il Paese, ma alla sua elezione i parlamentari del Pd hanno preferito un regolamento pubblico del loro congresso di partito.



A questo punto un salutare ritorno dell’idea di responsabilità, di bene della nazione che viene prima degli interessi di parte, ha permesso di concordare la richiesta al presidente Napolitano di accettare un secondo mandato. Questa proposta gli era già stata avanzata, ma egli aveva sempre opposto il suo diniego. La drammaticità della situazione, “il sentimento di non potersi sottrarre ad una assunzione di responsabilità verso la nazione” e la condizione che “ora tutti onorino i propri doveri” l’hanno indotto ad accettare la rielezione, avvenuta con ampia e libera maggioranza.



Dobbiamo essere grati al presidente della Repubblica per il peso che accetta di portare, il suo è un esempio di tensione al bene comune, il voto espresso da Parlamento nei suoi confronti può essere l’esempio del superamento di non più proponibili pregiudizi e l’inizio di un cammino politico in cui l’altro, l’avversario politico non è più visto come il nemico da abbattere ma, in una situazione di emergenza come quella italiana, come il possibile collaboratore di una soluzione della crisi. Per il Popolo della libertà poteva essere più semplice sfruttare il disorientamento della sinistra e portare il Paese a nuove elezioni. Credo che il Paese, anche quella parte che ci sostiene, non avrebbe capito. Dobbiamo ora usare le nostre energie nel costruire insieme il governo di cui l’Italia ha bisogno.



C’è un grande sacrificio che invece noi politici dobbiamo accettare, oltre a quello economico della revisione del finanziamento pubblico, ed è quello del partito preso, delle pregiudiziali che ci fanno chiudere la porta al dialogo. Al Paese serve un governo, un governo forte, e un governo politico. E un Parlamento che legiferi nel pieno delle sue funzioni. Oggi questo è affidato alla nostra assunzione di responsabilità. Solo così potremo rivendicare quel ruolo di rappresentanza democratica essenziale che in questi giorni è stato messo pericolosamente in dubbio da appelli alle piazze e alla rete, cercando di vanificare con numeri irrisori e trasparenza mai verificata il pronunciamento degli italiani nelle urne. Lasciamo i comici straparlare di “golpetti”, diamo un governo serio al Paese.