In questi giorni, lontano dai clamori delle votazioni per il Presidente della Repubblica, sono stati emanati i decreti attuativi della Legge Anticorruzione e ci si appresta a ricevere quelli della Legge sulla Trasparenza. Sostanzialmente le due leggi, ammantate della retorica demagogica e dal desiderio dell’annuncio a sensazione, introducono una serie di obblighi (!), anche con provvedimenti economici in caso d’inadempienza, nei confronti della dirigenza pubblica perché identifichino possibili rischi di corruzione nelle attuali procedure amministrative, li segnalino e vi pongano rimedio con provvedimenti organizzativi interni. Allo stesso tempo impongono una serie di misure perché siano rese pubbliche su Internet tutta una serie di informazioni relative ai concorsi pubblici, all’introduzione dei corsi/concorsi e altro ancora. Tutto bene apparentemente, anche considerando la retorica della trasparenza, della moralità e del rispetto della legalità. Peccato però che le “segnalazioni” di rischi se inviate non trovano gli organi di controllo – Ministero P.a. e Corte dei Conti – ancora pronti a riceverle, che i cambiamenti organizzativi previsti devono essere avallati da organizzazioni sindacali in un ambiente che storicamente non brilla per grande flessibilità e che tutte queste procedure aggiungono burocrazia e adempimenti che non impattano sulla soddisfazione del cliente/cittadino. Per essere chiari, un importante Dirigente pubblico ha definito l’introduzione di queste nuove normative come “curare il colesterolo con il cotechino” lamentando come il ministero della P.a. e il Parlamento emana leggi e direttive che sono spesso lontane dalla realtà degli enti locali e dai bisogni del cittadino. Tutto questo in una situazione in cui mancano ancora strumenti di programmazione e controllo, non si riesce a definire con precisione lo stato patrimoniale degli enti e il costo della macchina amministrativa continua a crescere senza migliorare il servizio al cittadino. Insomma, come richiedere l’obbligo di cambiare i pneumatici ad una macchina che ha il motore fuso. Che senso ha tutto ciò?



Come si fa a introdurre una legge Anti Corruzione assolutamente evoluta, al pari delle migliori prassi internazionali, in un Paese sempre al livello di alcuni paesi africani in materia di Corruzione e mancanza di Trasparenza? Non è forse velleitario e un po’ stucchevole? Dal mio punto di vista è invece tutt’altra la direzione che deve prendere il cambiamento dell’organizzazione e dei processi della macchina amministrativa pubblica. Innanzitutto bisogna prendere coscienza che i problemi sono molto più seri e radicali di quanto si vuole ammettere, tanto da investire la stessa possibilità di sopravvivenza del settore Pubblico e dei servizi al cittadino ad esso associati. Bisogna prendere atto che c’è una discrasia sempre più evidente tra tutto quel complesso di norme pleonastiche e ossessive che informa la nostra Legge e la realtà. Bisogna riconoscere che nella P.a., soprattutto nei grandi enti, sono sedimentati anni di clientelismo, ingiustizie, disequità ed errori di gestione, dirigenti troppo pagati e spesso inadeguati, personale poco retribuito e poco incentivato a lavorare per obiettivi. Scarsa chiarezza dei ruoli e delle responsabilità. Un vero pasticcio! Non stupisce, infatti, che grande parte dei “servizi pubblici” come la gestione dell’energia, delle infrastrutture, dei trasporti, dei rifiuti o dell’acqua vengano privatizzate sotto la mano pubblica. E’ il riconoscimento che la follia burocratica/legislativa seppur romantica e teoricamente giusta non è attuabile nella pratica e porta a tutti quei problemi di burocrazia e inefficienza che caratterizzano il nostro Paese.



Viceversa la strada che dobbiamo percorrere è esattamente l’opposto, ovvero la semplificazione delle norme, la responsabilizzazione della classe dirigenziale, la migliore selezione e valutazione del personale, la valutazione del merito individuale e dei gruppi di lavoro. Una recente ricerca promossa dalla Cgil e dall’Università degli Studi di Milano, non certo tacciabili di liberismo, spiegava come l’80% dei dipendenti pubblici del comprensorio di Milano e Provincia lo chiede a gran voce. Perché non se n’è più discusso? Forse perché questa voce non si adatta alla retorica del rispetto delle norme e della Costituzione? Non molti sanno che per entrare nelle migliori accademie, eccellenze della ricerca e dell’organizzazione, basta il giudizio dei pari e non servono concorsi pubblici e regolamenti complicati. La P.a. e l’Italia non miglioreranno fino a che non cambierà radicalmente la mentalità e la cultura di chi la regola e la norma. Mi chiedo quanto i partecipanti al balletto dell’elezione del Presidente della Repubblica e del Governo e quanto i cittadini ne siano consapevoli. Molti dipendenti pubblici l’hanno già capito. 

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