Prima di salire al Colle per l’incontro con il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il Partito Democratico si è riunito nella sede romana di via del Nazareno per fare il punto della situazione e per discutere le dimissioni di Pier Luigi Bersani. E’ proprio il segretario a prendere la parola e ad aprire la direzione del partito: “Ho annunciato le mie dimissioni dopo la bocciatura delle candidature di Marini e Prodi da parte dei franchi tiratori, molti dei nostri grandi elettori sono venuti meno a decisioni formali e collettive in un momento cruciale. Siamo stati su orlo di crisi gravissima e senza precedenti”, spiega Bersani. “Si può dire che le elezioni le abbiamo vinte o no ma alla prima prova non abbiamo retto e se non rimuoviamo il problema rischiamo di non reggere nelle prossime settimane e mesi. Insieme a difetti di anarchismo e di feudalizzazione si è palesato un problema grave di perdita di autonomia. Non si pensi che quanto successo sia episodio, c’è qualcosa di strutturale”. Dopo l’intervento di Bersani, il vicepresidente Enrico Letta ha invece letto all’assemblea il testo dell’Ordine del giorno preannunciato dal segretario dimissionario, mentre subito dopo sottolinea che ciò che più è mancato all’interno del Pd è la “generosità”. “In due ore, abbiamo davanti la prima vera scelta politica da quando è nato il partito. Improvvisamente non siamo più in uno schema bipolare ma tripolare. Adesso abbiamo noi la maggioranza dei voti, ma dobbiamo uscire dallo schema mentale del bipolarismo”. “Dobbiamo dire sì al presidente, prenderci le nostre responsabilità, mettendo a disposizione le nostre personalità e il nostro radicamento sul territorio, discutendo con il presidente sulla forma del governo. Serve un voto chiaro”, afferma Franceschini. “Dove sta scritto che chi va qui in minoranza esce dal partito? Guai. Se sarò in minoranza, andrò in aula e sosterrò la linea decisa dal partito”. Secondo il “giovane turco” Matteo Orfini, invece, “il documento proposto da Bersani rassomiglia ad una cessione di sovranità, e non ad una assunzione di responsabilità così come sollecitato dal presidente della Repubblica. Se il Pd vuole essere un partito ha il dovere di assumersi e sue responsabilità, per questo non possiamo accettare l’Odg Bersani”. E’ dunque necessario chiarire, aggiunge Orfini (criticato da parte dell’assemblea) “quali sono le responsabilità che il Pd, se vuole essere un partito, ha il dovere di prendersi. Altrimenti é un’altra cosa. Dobbiamo specificare fino in fondo quello che andiamo a dire al presidente della Repubblica”. Prende la parola anche la neo presidente della regione Friuli, Debora Serracchiani: “Vorrei mi venisse spiegato il perché del no a Prodi e del no a Rodotà e come siamo arrivati a Napolitano. Ma soltanto per poterlo spiegare ai cittadini e agli elettori. Non sto dicendo che le contrasto e non le condivido”. Bersani dunque decide di rispondere: “Capisco bene che nell’opinione pubblica si é sovrapposto il tema del governo a quello dell’elezione del capo dello Stato e questo può aver determinato uno sbandamento. Ma toccava a noi”. “Mentre si diceva no al governissimo – continua il segretario – si diceva sì all’apertura alla ricerca di soluzioni istituzionali condivise. Nei primi tre turni ci siamo messi alla ricerca di una soluzione condivisa ed é emersa la possibilità di convergere su un esponente del centrosinistra, un uomo del lavoro”. Alla fine, poco prima di spostarsi verso il Quirinale, la direzione Pd ha messo ai voti l’Odg Bersani, approvato per alzata di mano da quasi tutti i presenti, fatta eccezione per 7 contrari e 14 astenuti.



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