Giorgio Napolitano si è dato un imperativo categorico e intende rispettarlo: fare presto, dare al Paese un governo in tempi record, sfruttando l’effetto della durissima sferzata che ha assestato al sistema dei partiti nel discorso con cui ha inaugurato il suo secondo mandato presidenziale. Il suo sogno è farcela in un tempo da guinness dei primati, entro la data simbolica del 25 aprile. Da qui viene la forsennata accelerazione imposta ai tempi della crisi, quasi che temesse un ritorno di fiamma dei veti incrociati.



La margherita che il capo dello Stato sta sfogliando ha sostanzialmente tre soli petali: Giuliano Amato, Enrico Letta e Matteo Renzi. Il nome del sindaco di Firenze è spuntato in maniera imprevista e repentina come il più adatto a tenere insieme i cocci di quello che fu il primo partito italiano nelle elezioni di due mesi fa, il Partito democratico. Ma di impallinarlo si è incaricato direttamente Silvio Berlusconi, che ha fatto sapere di non gradire affatto di offrire la massima ribalta a quello che potrebbe essere il suo più temibile avversario nel caso si tornasse alle urne. Il nome di Renzi, peraltro, non convinceva del tutto neppure lo stesso Napolitano, vista la sua completa inesperienza tanto di ruoli di governo, quanto di contatti sul piano internazionale.



Sono queste, al contrario caratteristiche che non mancano ad Enrico Letta, che il ministro lo ha già fatto ed ha saputo tessere in questi anni numerose relazioni anche al di fuori dalle frontiere italiane, con la Spagna, ad esempio, attraverso la sua fondazione, l’Arel. Ma i punti a favore di Letta non finiscono qui. Bisogna ricordare la sua relativamente giovane età, 46 anni, che spingerebbe nell’agone una generazione nuova, e potrebbe essere controbilanciata da un ruolo di vicepremier per Angelino Alfano. Contro di lui depone, al contrario, l’essere il vicesegretario del Pd e quindi il dovere statutario di trainare il partito al congresso straordinario per definire la successione di Bersani. Se Letta dovesse traslocare a Palazzo Chigi, davvero non si saprebbe a chi affidare il timone di una barca alla deriva quale il Pd appare oggi. E lo spettacolo surreale fornito nell’ultima direzione non è certo tranquillizzante, in questo senso.



La lunghezza imprevista del colloquio con lo stesso Letta ed i due capigruppo democratici, Zanda e Speranza, fanno però capire che non tutti i problemi sono risolti. Oltre un’ora e venti minuti nello studio alla Vetrata, contro i trenta previsti sono la fotografia della delicatezza del momento.

Con i suoi interlocutori il presidente della Repubblica ha vagliato ogni possibilità, verificando soprattutto i consensi attorno a un nome, quello di Giuliano Amato. E’ probabilmente questa la soluzione preferita da Napolitano: più esperienza, più contatti trasversali, più entrature anche a livello internazionale. Giurista di vaglia, Amato è stato due volte premier, ministro dell’Interno e del Tesoro. E’ stato braccio destro di Craxi, ma anche fra i fondatori dell’Ulivo. Per età, potrebbe essere anche il successore di Napolitano al Quirinale, una volta disincagliato il paese dalle secche, anche se sconta molte diffidenze. Dentro il Pd, ma non solo; basti pensare al no pregiudiziale e netto della Lega.

Se la scelta finale cadrà su di lui, è alle viste un’ulteriore accelerazione: Amato potrebbe formare il governo in poche ore, senza quasi far ricorso alle consultazioni del presidente del Consiglio incaricato. Certo, tutta da definire rimane la natura del suo governo, e – di conseguenza – la qualità della sua composizione. Berlusconi è stato nettissimo su questo: ha chiesto un governo forte e duraturo. Non un governicchio con ministri scoloriti. Gianfranco Rotondi, che spesso interpreta bene lo stato d’animo del Cavaliere, su Twitter ha scritto: “o alleanza politica alla luce del sole, o elezioni. No a un altro bidone alla Monti”.

Un governo politico è esattamente quello che risulta indigesto al Pd, che punta sulla formula la più scolorita possibile. Alla fine, il governo partirà grazie all’ombrello protettivo creato da Napolitano, e praticamente nessuno avrà il coraggio di mettersi di traverso. Quel che resta da vedere è quale sarà il suo reale spazio di manovra. E su questo le dichiarazioni dei protagonisti sono così contraddittorie da autorizzare più di un dubbio. Come se la durissima lezione inferta da Napolitano fosse stata compresa solamente a metà.