È appartenuto e ha militato nella destra sociale italiana. Fondatore de La Destra, Teodoro Buontempo è morto mercoledì 24 aprile all’età di 67 anni. Nato a Carunchio, in provincia di Chieti, comincia a dedicarsi alla politica sin da giovane, dirigendo in Abruzzo le organizzazioni giovanili dell’Msi. A 22 anni si trasferisce a Roma dove partecipa alle lotte studentesche. Soprannominato “er pecora”, è stato deputato in cinque legislature e per 16 anni consigliere comunale di Roma dal 1981 al 1997. Dal dicembre 1993 al settembre 1994 ha ricoperto anche l’incarico di presidente del Consiglio comunale.
Buontempo era considerato un fior di politico capace di unire passione, onestà e vicinanza al territorio, alla gente. Ilsussidiario.net ha intervistato il giornalista Pietrangelo Buttafuoco, che oltre a soffermarsi sulla sua figura, analizza anche il momento storico della destra italiana e della politica in generale.
Cosa ha rappresentato Teodoro Buontempo per la destra italiana?
Con Teodoro Buontempo se ne va un pezzo importante della storia della “sinistra” italiana e dico apposta sinistra perché lui interpreta il sentimento di popolo e l’identità stessa di questo popolo, molto più di quanto possa fare chi, solitamente da sinistra, rappresenta gli interessi, gli istinti di un radicalismo borghese che è stato da sempre ostile al popolo. Se ne va via uno splendido esponente dell’area socialista e tricolore, che riconosceva nell’identità italiana un’occasione di riscatto per un popolo che da molti anni, da secoli, sta cercando una strada verso l’emancipazione, la crescita. Sta cercando, quello che un tempo si sarebbe detto, uno spazio nello scacchiere internazionale.
Nel difficile momento vissuto dalla politica italiana, dove colloca la destra? Qual è il suo ruolo?
Le elezioni hanno certificato la morte di quella che noi avevamo identificato come destra. Adesso ci sono soltanto tre minoranze che non riescono a essere egemoni nello spazio attuale e tra queste minoranze non credo ce ne sia qualcuna che possa essere identificata con la storia e la tradizione del Movimento sociale. E nemmeno di quello che è diventato dopo con Alleanza nazionale, o con la destra in genere.
Se dovesse delineare il principsle cambiamento della destra rispetto al passato, cosa direbbe? Sicuramente è venuta a mancare la qualità professionale di chi nell’ambito della destra ha rappresentato questo spazio politico. A partire dalla seconda Repubblica si è persa l’occasione di mantenere una casa dove gran parte di questi italiani potessero riconoscersi. Tanto è vero che questi stessi italiani hanno avuto la possibilità di dirigersi persino fuori dalla propria tradizione.
A cosa si riferisce?
Al fatto che moltissimi di loro hanno trovato ospitalità nella Lega Nord, altri invece hanno potuto proseguire il percorso politico nell’esperienza berlusconiana e altri ancora hanno cercato di amministrare quel poco di identità con risultati che l’ultima tornata elettorale ha cancellato.
Di chi è la colpa?
E’ tutta del “predellino”. Se all’epoca non avesse accettato il predellino, il leader della destra sicuramente avrebbe potuto mantenere una casa e probabilmente persino il suo destino personale e politico sarebbe stato diverso. Sono consapevole che la storia non si fa con i se, ma l’errore nasce da lì. Figuriamo se lo stesso errore l’avesse fatto la Lega… A quest’ora non sarebbe riuscita a sopravvivere neppure alla bufera dei diamanti, dei conti in Africa, del trota, dell’arresto di Belsito e invece, mantenendo forte l’identità di una casa, ha dimostrato di poterci essere ancora.
Vale solo per la destra?
No, la diagnosi vale anche per la sinistra, la vediamo oggi confermata in quello che sta succedendo nel Pd. È inimmaginabile pensare di riuscire a costruire un’identità raffazzonando diverse storie, perchè la famosa somma in politica non funziona mai: due più due in politica non fa mai quattro.
A questo proposito come giudica l’intenzione di creare l’ennesimo partito a sinistra tra il ministro Fabrizio Barca insieme a Nichi Vendola e Antonio Ingroia?
Creare un ennesimo partito di sinistra conferma la stessa perplessità del creare un ennesimo partito a destra. Sono operazioni fallimentari che forse a sinistra avranno un allure particolare perché affidata ai curriculum charmant di Barca o di chissà chi altro. Ma è tutta una storia che si conclude in una puntata de Le invasioni barbariche. Più di quello non possono fare.
Secondo lei il Movimento 5 Stelle può essere considerato una forza di destra?
Il Movimento 5 Stelle è, dal punto di vista della manualistica, della scienza politica, un movimento trasversale. Può diventare anche un movimento di destra, quando sfascia le logiche del sistema e del potere laddove in Italia il potere e il sistema è per definizione “di sinistra”: in quel caso appunto si deve collocare altrove. Il Movimento 5 Stelle lo trovo una esercitazione accademica, non corrisponde alla realtà.
In che senso?
Il Movimento 5 Stelle è un termometro, attraverso il quale possiamo capire gli umori della società italiana, basta niente per trasformare il risultato. Se osserviamo sempre più da vicino giorno dopo giorno la classe dirigente del Movimento 5 Stelle, possiamo vedere una trasformazione antropologica. Il fatto stesso che debbano essere radunati dentro dei pullman e portati altrove per tenerli lontani dallo sguardo degli altri, per esempio: più che una strategia sono delle tecniche di etologia. Ho l’impressione che Beppe Grillo si diverta a fare come Konrad Lorenz quando studiava le anatre nei loro movimenti. E quindi dobbiamo ancora aspettare per capire.
(Elena Pescucci)