Enrico Letta premier e Matteo Renzi alla segreteria del Pd, eletto da un congresso prima dell’estate o in autunno. Senza escludere una tornata di primarie, che il sindaco di Firenze vincerebbe senza dubbio alcuno e con la componente del Pd di «fede» antiberlusconiana ormai verso altri lidi. L’immediato futuro del Pd visto da Peppino Caldarola.



Il Pd ha cercato di usare le elezioni del Quirinale per ricompattarsi ma non c’è riuscito. Ora l’incarico a Enrico Letta lo dividerà ulteriormente?
Ci sono nel Pd posizioni contrarie alla nascita di un governo fondato sull’alleanza Pd-Pdl: si va da Laura Puppato a Pippo Civati, a Corradino Mineo per dirne alcuni. Credo però che la maggioranza dei parlamentari appoggerà questo governo, voluto da un capo dello Stato eletto con i voti del Pd e che vede come premier l’esponente di nuova generazione più in vista del partito. Sarebbe un suicidio se il Pd si dividesse sul suo nome.



Lei stesso ammette che i contrasti ci sono; dunque?
È probabile che ci sarà non una vera e propria divisione, ma microscissioni che fanno parte delle logiche della politica.

Secondo Ipr Marketing un elettore Pd su quattro voterebbe la scissione e il 65 per cento, a domanda su una ipotetica segreteria di Renzi, si dice favorevole. Come commenta?
Vedo due tipi di defezione. Una scissione silenziosa, propria della base più radicale del Pd, quella che rifiuta l’idea stessa di un compromesso col Pdl in quanto «patto col diavolo». Poi non mancheranno esponenti del Pd che ritengono incompatibile la loro presenza con l’esistenza di questo governo. Razionalità vorrebbe che quelle persone considerassero finita la propria avventura nel Pd. D’altro canto, credo che nel Pd ci sia attualmente un vero problema di leadership, ma che al tempo stesso possa essere colmato abbastanza rapidamente.



Renzi ha di fronte a sé una prateria sgombra, insomma.
Sì. Nell’arco di pochi mesi si sta realizzando quel cambio generazionale auspicato da tutti, con un premier giovane e un leader futuro, anzi attuale ancor più giovane. Tutti gli elementi del quadro dicono che Renzi è avvantaggiato. Io aggiungo che sia la leadership, sia la tenuta del partito dipenderanno molto anche dalla capacità realizzativa di Letta. Il suo successo ridarebbe fiato a tutto il partito.

E Renzi?
Ha capito di dover tifare per il successo di Letta. In primo luogo perché si afferma un cambio generazionale che va anche a suo vantaggio. In secondo luogo perché si definirebbe un nuovo campo del riformismo, quello che non ha paura di avere alla sua sinistra una contestazione anche dura. La bussola tornerebbe ad essere quella della responsabilità nazionale: al primo posto viene la nazione, poi il partito. Una parte attuale dei dirigenti e della base hanno rovesciato questo schema; a me pare invece che Renzi e Letta intendano rimettere in piedi quell’asse culturale.

Uomini come Fassina e i Giovani turchi secondo lei si preparano a seguire la sirena dello storico principio «nessun nemico a sinistra»?

Io non credo che Orfini e Fassina voteranno contro il governo Letta. Le sirene ci saranno, indubbiamente, e assisteremo ad una strana gara tra questa sinistra neoradicale e Beppe Grillo. Il rischio che corrono quelli che come Vendola inseguono il nuovo massimalismo è di dar vita a una sinistra un po’ all’antica, che considera la partecipazione al governo non come un’occasione ma come una iattura. Penso che Nichi Vendola stia ripercorrendo lo stesso itinerario di Fausto Bertinotti e che alla fine avrà il suo stesso risultato.

Berlusconi vuole un ministro della Giustizia di cui potersi fidare. L’odiato Caimano può mandare a monte l’operazione Letta?
Non credo che lo farà. Chiediamoci perché Berlusconi è costretto ad appoggiare questo governo: secondo me lo fa perché il suo movimento si è ormai stabilizzato e si delinea sempre più come un movimento a vocazione moderata: la fase «rivoluzionaria» si è esaurita. In secondo luogo Berlusconi è un industriale molto accorto: sa che se Letta fallisce saremmo molto vicini al default e il rischio che le sue aziende saltino per aria sarebbe reale. Come imprenditore e politico ha il massimo interesse che questo non accada.

Il Pd è pronto a rinunciare all’antiberlusconismo?
È vero, l’antiberlusconismo è stata una dominante nella sinistra degli ultimi 20 anni, ma vorrei aiutare la sinistra a ragionare con alcuni fatti. Obama ieri ha celebrato il memorial del suo antagonista politico, George Bush. Senza imbarazzi. Non ha confuso il destino personale del suo antagonista con il partito repubblicano. L’antiberlusconismo che ancora vediamo in certo Pd non aiuta a capire la realtà e colloca i più oltranzisti fuori della civiltà politica.

Qualcuno del vecchio gruppo dirigente non potrebbe mettersi di traverso se fosse Renzi a guidare il partito? Un Massimo D’Alema per esempio.
Io credo che sia D’Alema sia Veltroni saranno favorevoli alla gestione di Matteo Renzi. Lo dico in un caso perché lo intuisco, nell’altro perché lo so. Renzi può stare tranquillo, non avrà né dall’uno né dall’altro alcun ostacolo. Lo stesso accadrà per Enrico Letta, che fu nominato ministro per la prima volta proprio da Massimo D’Alema.

Come vede il prossimo congresso?
Lo si deve fare rapidamente perché il segretario è dimissionario. Se non sarà prima dell’estate, sarà in autunno. Se il governo Letta avrà successo, contribuirà a definire in modo più netto la fisionomia congressuale del Pd, con una maggioranza più riformista e una minoranza di sinistra più radicale. Se le due componenti riusciranno a convivere, bene; altrimenti, come si dice, meglio una bella divisione che un cattivo matrimonio.

Renzi alla guida prima o dopo il congresso?
Credo che in questo momento sia più facile nominare un organismo di gestione transitorio, rappresentativo delle decine di correnti che ci sono nel Pd. Renzi ha sempre detto di volersi assumere le responsabilità non prima di aver ricevuto un’investitura popolare. Ci saranno delle primarie, che Renzi vincerà, dopo di che sarà segretario a tutto tondo.

(Federico Ferraù)