Sulla nascita, sulla composizione, sulla durata e sulla forza del futuro governo gravano ancora pesanti incertezze. Ai franchi tiratori del Pd che non voteranno la fiducia all’esecutivo di Enrico Letta (non è ancora chiaro se, eventualmente, saranno espulsi dal partito), si aggiunge il fatto che il sostegno del Pdl è ancora tutt’altro che scontato. Quel che è certo è Berlusconi non firmerà una cambiale in bianco. Del resto, il premier incaricato, che oggi dovrebbe chiudere la partita, lo aveva predetto: “il governo non si farà a tutti i costi”. Insomma, sarà dura, ma, presumibilmente, spiega Paolo Franchi, editorialista de Il Corriere della Sera, se ne verrà a capo.
L’impressione è che, in queste ore, le forze politiche stiano facendo uno sforzo enorme per accordarsi.
Era ovvio che sarebbe andata così. Anzitutto, nonostante il lavoro dei saggi, mettere assieme un minimo (e magari qualcosa di più) di base programmatica tra due forze che si sono armate l’una contro l’altra per vent’anni non è impresa elementare. Anche perché ci sono alcuni punti che, soprattutto per il Pdl, sono qualificanti e difficili da abbandonare.
Quali?
Il Pdl pretende l’abolizione dell’Imu e l’introduzione di una serie di sgravi fiscali. Si tratta di contenuti economici sui quali ha focalizzato la propria campagna elettorale.
Su tali questioni, la trattativa andrà in porto?
A dire il vero, credo di sì. Esistono strade tecniche per uscire dall’impasse, mentre il Pd è intenzionato ad avanzare delle proposte di mediazione. Certo, i democratici non possono permettersi di consentire a Berlusconi di figurare come colui che ha restituito i soldi alla povera gente. Alla fine, tuttavia, un compromesso si troverà.
Crede che la composizione dei ministeri contribuisca a produrre difficoltà? Pare che Berlusconi stia facendo molta fatica ad accettare l’idea di dover rinunciare alla presenza di Renato Brunetta all’Economia.
Indubbiamente, le difficoltà ci sono. Non tanto per la distribuzione delle poltrone, quanto perché il Pdl vuole collocare nei dicasteri figure spiccatamente politiche. Il che, a Letta crea non pochi problemi. Il premier incaricato, infatti, è alla ricerca di un equilibrio tra un governo politico, che dia l’impressione di essere la cosa in assoluto il più distante possibile da quello dei tecnici ma che, al contempo, non abbia al suo interno i “falchi” berlusconiani. Quest’ultima ipotesi, infatti, destabilizzerebbe ulteriormente il partito, allontanando ancora di più quella fazione particolarmente ostila all’”inciucio”. Per intenderci, per Letta, il profilo ideale di ministro è quello di Sergio Chiamparino.
Perché proprio lui?
Sia ben chiaro, è un nome simbolico. Ma riassume in sé alcune caratteristiche fondamentali: ha esperienza politica, ha amministrato bene, ma si è sottratto alla guerra civile tra centrodestra e centrosinistra che ha dilaniato il Paese negli ultimi anni.
Il Pd, considerando la propria debolezza, potrebbe cedere su questi fronti?
Non possiamo escluderlo. Tuttavia, il Pdl sa benissimo che non gli conviene più di tanto infierire, avendo già ottenuto tutto quello che poteva ottenere. Le stesse dichiarazioni di Berlusconi delle ultime ore denotano un atteggiamento, tutto sommato, conciliante.
Il Pd, quando sarà il momento di votare le fiducia, potrebbe scindersi?
Al momento della fiducia, ci saranno delle defezioni, ma sarà un fenomeno circoscritto. Non è escluso che, invece, la scissione ci sarà nei prossimi mesi, quando si tratterà di dover assumere delle decisioni sui singoli provvedimenti. La separazione potrebbe essere consensuale: una parte del partito, presumibilmente quella più a sinistra, potrebbe migrare altrove; oppure, potrebbe assumere i toni drammatici dei giorni della votazione del presidente della Repubblica.
Quali saranno le sfide del governo Letta sul piano internazionale?
Dobbiamo realizzare una politica economica che tenga conto delle esigenze del risanamento ma che, al contempo, possa consentirci di rivendicare l’allentamento di alcuni vincoli, in modo da poter rilanciare la crescita. Solo un governo forte e autorevole può farlo. In tal senso, il ruolo del presidente della Repubblica è stato, sin qui, fortissimo. Ma se fosse costretto a continuare a fare da “tutor” all’esecutivo, questo rappresenterebbe non solo la sconfitta delle forze politiche, ma dell’intero Paese. Significherebbe arrivare alle prossime elezioni senza che le contrapposizioni più esacerbate fossero state sanate.
Enrico Letta potrebbe disporre dell’autorevolezza per rappresentare un fattore di sintesi?
A dire il vero, sta dando ottima prova di sé. Pensi alla consultazione in streaming con i grillini: erano visibilmente disorientati. Non sapevano cosa rispondere. Li ha esposti alle proprie debolezze politiche, senza essere aggressivo né arrendevole, e manifestando capacità politiche e comunicative sulle quali era lecito avere dei dubbi e che, di questi tempi, difettano alla stragrande maggioranza dei politici di professione.
(Paolo Nessi)