Otto punti, lo stesso numero di quelli avanzati da Bersani all’indomani delle elezioni. Repubblica.it li ha chiamati «8 ddl da campagna elettorale», ma è una definizione che non piace a Giovanni Toti, direttore del Tg4, per il quale i punti formulati ieri da Berlusconi non contengono invece alcuna sostanziale novità rispetto al programma delle ultime politiche: «potremmo definirli il programma di pronta emergenza del Pdl. A dimostrazione che Berlusconi crede realmente nella strategia della responsabilità mostrata nelle ultime settimane».
Berlusconi presenterà i suoi otto punti «per un choc istituzionale ed economico» nella prossima manifestazione del 13 aprile in programma a Bari. Li ha annunciati oggi via Facebook e sul sito del Pdl. Ci sono l’abrogazione dell’Imu sulla prima casa e la restituzione degli importi versati nel 2012; la revisione dei poteri di Equitalia; una detrazione, sotto forma di credito di imposta, per le imprese che assumono giovani tempo indeterminato; la semplificazione della burocrazia; l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti; la riforma del sistema fiscale; la revisione della Costituzione, con l’elezione diretta del capo dello Stato e il rafforzamento del capo del governo; e infine, la riforma della giustizia.
«Non sono punti a sopresa» dice a ilsussidiario.net Giovanni Toti. «Sono quelli sui quali si è basata la sua campagna elettorale e la sua rimonta».
Perché Berlusconi ha rilanciato proprio questi punti?
Sono quelli che convincono di più il Cavaliere. Berlusconi pensa che la cura Monti del pagamento dei 40 miliardi di debiti sia solo un pannicello caldo e che dal punto di vista economico occorrano delle proposte ancora più incisive. Quei punti potremmo definirli il programma di pronta emergenza del Pdl.
Perché il Cavaliere li ha ripresentati proprio ieri e non prima?
Lo ha fatto per lanciare la manifestazione di sabato prossimo a Bari, che vuol dare un seguito a quella di Roma ma che alla luce di come sta evolvendo il quadro politico, va cambiando di segno. Credo che Berlusconi intenda farne un momento esclusivamente propositivo. Ovvero: diamo un governo a questo paese e facciamo le cose che servono.
Berlusconi dice di essere in testa nei sondaggi. Come lo spiega?
Che sia in testa nei sondaggi non c’è dubbio: lo dicono Swg, Pagnoncelli e Ghisleri. È in testa perché paga la sua linea responsabile delle ultime settimane. Tra tutti i leader politici in campo è l’unico che si spende per dare realisticamente un governo al paese: è pronto ad appoggiare un esecutivo Bersani purché nel quadro di una scelta condivisa del presidente della Repubblica, così come è pronto ad entrare in un governo di grande coalizione che abbia al centro le riforme e i temi dell’economia. Gli otto punti sono la declinazione della sua proposta: andiamo insieme a Palazzo Chigi e tentiamo di risolvere i problemi più urgenti.
Possono andare d’accordo con gli otto punti di Bersani?
Al netto della parte ideologica, che sembra fatta apposta in Bersani per tenere insieme grazie all’antiberlusconismo la sua parte poltica, da una parte c’è l’abolizione dell’Imu prima casa dall’altra quella dell’Imu prima casa sotto i mille euro (proposta Camusso, ndr); da una parte c’è la detassazione delle assunzioni per le aziende, dall’altra c’è la riduzione del cuneo fiscale o comunque un aiuto a chi assume. Che questa legge elettorale non garantisca la governabilità è ormai evidente a tutti; che il presidente del Consiglio abbia pochi poteri lo riconoscono tutti, che di elezione diretta del capo dello Stato si possa cominciare a ragionare, insieme a una legge elettorale diversa da quella che c’è per la Camera e per il Senato, e che le due camere vadano differenziate come compiti, anche questo è ormai chiaro. Non vedo una sostanziale distanza tra i punti di riforma dei due principali partiti.
A differenza di Bersani però Berlusconi ha inserito nei suoi otto punti le riforme istituzionali.
Questo perché Bersani ha attribuito il compito ad una commissione costituente, quella che aveva offerto ad Angelino Alfano. È il cosiddetto doppio binario. Sarebbe difficile d’altra parte credere che le riforme istituzionali e la governabilità non rientrino in assoluto nei piani del segretario del Pd. Se si andasse verso un governo di larghe intese o di scopo appoggiato dai principali partiti, è naturale che questi due piani venissero riunificati.
Cosa pensa delle aperture a Berlusconi venute ieri dal Pd con Franceschini?
È una assoluta novità; qualcuno ha parlato di caduta del muro di Berlino, a me sembra che si sia arrivati, meglio tardi che mai, alla cosa che era più ovvia di tutte fin dall’inizio. Siamo più vicini a una soluzione bipartisan.
Lo crede davvero?
Lo ha spiegato ieri Renzi in modo che più chiaro non si potrebbe: o si fa un governo Pd-Pdl, o si fa un governo Pd-M5S o si torna al voto. Un governo Pd-M5S non si può fare ed è diventato evidente dopo la riunione di Grillo dell’altro ieri; alle urne non ci vuole tornare nessuno perché sarebbe da irresponsabili farlo senza una riforma della legge elettorale e qualche intervento per aiutare un’economia allo stremo.
Non resta dunque che un accordo Pd-Pdl.
La novità è che anche nel Pd qualcuno se n’è accorto, o meglio lo sapevano da tempo, ma il loro vero problema è andare dai militanti, e prima ancora dalla stragrande parte dei quadri dirigenti, allevati nel più feroce antiberlusconismo, a dire che si deve dialogare con il mostro.
Torniamo all’apertura di Franceschini.
Trovo che Franceschini abbia detto cose importantissime. È una svolta, perché il Pd non può pretendere di eleggere il proprio leader e, sulla base di una superiorità morale che non esiste e forse non è mai esistita, anche il leader interlocutore della coalizione avversaria. Si preparino quindi a dialogare con chi hanno votato gli elettori moderati, cioè Berlusconi. In secondo luogo, le parole di Franceschini di ieri insieme a quelle di Renzi degli ultimi giorni segnano per sempre la fine del «solismo» di Bersani.
Il rilancio programmatico di Berlusconi è anche legato al timore di avere in futuro un Quirinale avverso?
Certo. È evidente che il timore del Pdl è che al Quirinale vada di nuovo un esponente dell’area culturale della sinistra. Secondo Berlusconi è piuttosto singolare che in un paese che dalla Dc in poi ha espresso maggioranze moderate, per una serie di equilibri e di giochi politici vada putualmente al Colle qualcuno che non proviene dal mondo dei moderati. È una preoccupazione politica, ma ha anche un rilievo culturale e sociale.