A parole, sono tutti d’accordo: sia a destra che a sinistra i parlamentari si dicono convinti che il prossimo presidente della Repubblica dovrà essere il frutto di una saggia consonanza d’intenti. Ovvero, avrà il compito di traghettare il Paese fuori dalla crisi e dovrà, quindi, essere eletto con un ampia maggioranza. Magari, come Francesco Cossiga che, il 24 giugno dell’85, fu eletto al primo scrutinio con 752 voti (la maggioranza dei due terzi dell’Assemblea corrispondeva a 674). Questo fu possibile perché anche il Pci decise di appoggiarlo. Secondo il figlio Giuseppe, ex deputato del Pdl, al momento della votazione, prevarranno ben altri criteri. Gli abbiamo chiesto di raffrontare la fase che stiamo vivendo con quella che portò all’elezione di suo padre.
Le due epoche sono paragonabili?
Stiamo parlando di un altro mondo. Di una democrazia che, per la qualità degli uomini che la rappresentavano, era sicuramente più matura di quella di oggi. Il Pci non fu mai tenero con mio padre, tanto che i gruppi parlamentari del Pds approvarono – unico caso nella storia della Repubblica – la richiesta di impeachment del capo dello Stato, in seguito ritirata. Questo, per dire che persino la qualità degli scontri era decisamente più elevata di quella di adesso (e i rapporti tra i partiti non si deterioravano per battutacce sui giornali). Eppure, nonostante le ostilità, vi era in costoro un senso dello Stato che, in certe occasioni, consentiva di riconoscere la necessità di una collaborazione. Come nel caso della gestione del terrorismo e del successivo accordo per l’elezione di mio padre.
Ai quei tempi veniva rispettata l’alternanza tra un presidente cattolico e uno laico. Oggi?
Quell’alternanza ebbe senso finché l’Italia rappresentò un fondamentale punto di equilibrio tra i due blocchi. Oggi, l’alternanza è più complessa perché più complessa è diventata la situazione politica. Per intenderci: Scalfaro era da annoverare tra i “cattolici” o era un presidente “di sinistra”. Ha, indubbiamente, più senso l’alternanza tra centrodestra e centrosinistra. Dubito che, in questo caso, sarà rispettata. E che il prossimo presidente non sia ancora una volta espressione del centrosinistra.
Si auspica che venga eletto con un ampissima maggioranza.
Non ce la faranno. Sono in contatto con molti miei ex colleghi tuttora in Parlamento, e solo tra pochissimi alberga la percezione della necessità di una maggioranza così elevata.
Che metodo adotteranno per eleggerlo?
Quello della “forza bruta”. Ovvero, sarà eletto a colpi di maggioranza. Non ci sarà nessun accordo.
Quanto conterà l’europeismo del candidato più papabile?
Se fino a ieri la maggioranza dell’opinione pubblica era europeista, oggi con tale termine si intende la volontà di preservare un organismo che ha mostrato limiti enormi. Diciamo, quindi, che al prossimo presidente sarà richiesto di disporre di un europeismo di facciata, ma niente di più.
Tra i nomi che circolano, chi potrebbe essere eletto?
Nella continuità travestita da rottura, il più probabile è Prodi. E’ al potere da sempre e, formalmente, è un cattolico. C’è da sperare, in ogni caso, che non si scelga l’outsider a tutti i costi.
Perché no?
Guardi le due presidenze delle Camere: per carità, si tratterà di persone validissime. Ma dubito fortemente che siano in grado di far funzionare l’Assemblea. Ci sono meccanismi, procedure, e alchimie burocratiche che devono essere conosciute e comprese. Ignorarle, produce l’inefficienza del Parlamento. E, purtroppo, ormai da anni il Parlamento è inefficiente perché gli eletti non ne conoscono i regolamenti. Tutto ciò, produce un altro grave effetto sulla vita della democrazia.
Quale?
Se i parlamentari – e i ministri – ignorano i congegni che regolano le istituzioni, il potere reale sarà sempre e solo detenuto da chi, invece, dispone di tali competenze: i tecnici, i funzionari, i segretari e i direttori generali delle Camere e dei ministeri. Ovvero, la burocrazia.
Cos’è cambiato da quando la politica aveva ancora autorevolezza?
Che un tempo i parlamentari studiavano, oggi non sanno più nulla! Guardi, mio padre era solito raccontarmi un aneddoto: quando si veniva eletti per la prima volta, all’interno della Democrazia Cristiana era norma che, in Parlamento, per un anno si tacesse. L’assunto era che, per quanto l’eletto fosse capace, competente e preparato, delle regole delle Camere non potesse saperne niente rispetto ai “veterani”.
(Paolo Nessi)