“La Rai è il megafono dei partiti, se la paghino loro”. Beppe Grillo, dopo aver lanciato un sondaggio online sulla tv pubblica (a cui il 99% dei partecipanti ha risposto di volere una Rai svincolata, libera e indipendente dai partiti), snocciola numeri e proposte. “La Rai ha 13.000 dipendenti, di questi meno di 50 sono giovani under 30”, mentre “nel 2012, nonostante canone e pubblicità, ha perso 250 milioni di euro”. Chi sono i responsabili di quello che il leader M5S definisce un vero e proprio “sfascio”? Sono i partiti politici, i quali possono contare su “un’informazione di regime, totalitaria, simile alle purghe staliniane degli anni ’30”. Un’informazione, aggiunge Grillo, “omologata in un grande inciucio per mantenere privilegi, caste, parassiti sociali trasversali”. E’ per questo, dunque, che la Rai “va rifondata e trasformata in un servizio pubblico sul modello della BBC senza alcun collegamento con i partiti, senza pubblicità, con produzione di contenuti di qualità sviluppati in prevalenza all’interno e non come ora affidati spesso a società esterne, sommando costi a costi”. Il M5S ha già fatto sapere che proporrà in Parlamento, come da programma, l’istituzione di un solo canale Rai, senza vincoli verso i partiti, senza pubblicità e la vendita dei rimanenti due canali. Abbiamo commentato le proposte di Beppe Grillo con Alberto Contri, presidente della Fondazione Pubblicità Progresso ed ex consigliere Rai dal 1998 al 2002.



Crede che Grillo abbia ragione riguardo la tv pubblica?

La Rai è senza dubbio un grande organismo formatosi negli anni dalla lottizzazione dei partiti. Lo stesso attuale direttore generale, Luigi Gubitosi, ha detto che se dovesse lavorare con chi non è stato nominato dalla politica probabilmente lavorerebbe da solo. Non si può quindi negare che questo enorme gruppo, ormai multimediale, abbia una ingente quantità di dipendenti in larga parte frutto di “concrezioni” portatesi avanti nel tempo.



Quindi Grillo su questo ha ragione?

Che l’efficienza non sia la principale caratteristica della Rai non è certo un segreto. E’ vero che la tv pubblica può contare su 14 canali, ma ha anche tantissimo personale che in molti casi risulta sostanzialmente inutile. Io stesso, quando ero consigliere, dichiarai in una intervista che circa la metà dei dipendenti non sarebbe stata poi così necessaria.

Cosa pensa invece del “modello Bbc”?

La Bbc, pur avendo reti e canali tematici, manda in onda un solo telegiornale. Perché in Italia abbiamo invece tre telegiornali diversi? Non perché sono frutto di una particolare scelta aziendale, ma semplicemente perché provengono da Dc, Psi e Pci. Già solo il fatto che molti stessi servizi vengano utilizzati da telegiornali di diversi canali dovrebbe farci capire a cosa stiamo assistendo.



Cosa fare quindi?

Innanzitutto bisognerebbe intervenire con decisione sull’efficienza complessiva, un lavoro improbo al quale si sta dedicando con grande fatica anche l’attuale direttore generale. In termini strettamente oggettivi la Rai è sicuramente un’azienda iper dimensionata, ma non è certo possibile immaginare di tagliare via in un sol colpo 5-6 mila persone.

E’ realistico invece immaginare di vendere due reti sulle tre principali? 

Assolutamente no, per diversi motivi. Grillo dice di vendere due reti, ma a chi? Anche solo dopo aver visto la difficoltà con cui è stata venduta La7 (che tra l’altro costava anche molto meno), chi potrà mai acquistare due canali Rai in un periodo di crisi come questo?

 

Cosa si andrebbe poi effettivamente a vendere?

Questo è l’altro quesito fondamentale. Ovviamente il maggior valore proviene dal marchio e dalla posizione sul telecomando, ma l’acquirente dovrebbe inevitabilmente farsi carico anche di una parte dell’attuale infrastruttura legata al mondo Rai, contenente tutte quelle “concrezioni” di cui parlavamo in precedenza. Questo renderebbe tutta l’operazione davvero complessa.

 

Un eventuale “snellimento” o vendita dei canali Rai non andrebbe solamente a vantaggio di Berlusconi, come qualcuno ha fatto notare in questi giorni?

In una situazione di duopolio bloccato, come è oggettivamente quella attuale, l’equilibrio che permane risulta essere in realtà sempre più precario, vista l’assenza di quella stessa pubblicità che ha sempre nutrito l’una e l’altra parte. Ecco allora che sia Rai che Mediaset, da questo punto di vista, si trovano a dover fare i conti con una drammatica situazione e con una costante crescita di richieste di operatività su internet che però ovviamente frutta molto meno.

 

Certo le difficoltà di Mediaset appaiono minori rispetto alla Rai…

Questo è vero, ma se andiamo a vedere la profilazione psico-socio-demografica delle reti è chiaro che quelle Mediaset risultano essere molto più “giovani”: basti pensare, infatti, che il pubblico di Rai Uno ha un’età media di oltre 55 anni, quindi anche dal punto di vista pubblicitario si tratta di una rete decisamente meno appetibile rispetto a Canale 5.

 

Dovremmo quindi tenerci le reti Rai esattamente come sono?

Il vantaggio potrebbe essere proprio questo, anche se in realtà sarebbe solo relativo visto il mercato sempre più a picco. L’ipotesi di vendita avrebbe senso solo se si decidesse prima di far “dimagrire” incredibilmente il servizio pubblico, ma sarebbe comunque un’operazione troppo lunga e probabilmente troppo difficile da realizzare. Un’ulteriore soluzione, invece, potrebbe provenire proprio dalla stessa definizione di “servizio pubblico”.

 

Cosa intende?

Lo Stato dovrebbe realmente chiedersi quali sono le reti che in questo momento fanno effettivamente servizio pubblico e agire di conseguenza. Si potrebbe quindi immaginare di effettuare una sorta di cernita e scegliere di mettere a pagamento o addirittura in vendita quelle reti che al momento non rientrano nella categoria di “servizio pubblico”. C’è però un grande problema.

 

Quale?

Tutte le reti Rai nate con il digitale terrestre rappresentano in realtà idee intelligenti per utilizzare in pieno l’archivio e il magazzino a disposizione, con costi relativamente bassi. Tra l’altro, queste stesse reti si sono velocemente trasformate in un bacino di utenza estremamente interessante, da Rai Movie, fino a Rai 4 o Rai Storia, quindi anche in questo caso non sarebbe affatto facile capire quali sono effettivamente utili e quali invece no.

 

(Claudio Perlini)