In occasione del voto di fiducia al governo Letta, qualcuno temeva che l’entità dei franchi tiratori del Pd potesse risultare analoga a quella che portò alla disfatta della candidatura di Prodi. Così non è stato. I dissensi ci sono stati, certo, ma per lo più sono rientrati. In un caso, poi, il dissenso è stato esplicito, ma è stata esplicita anche l’esposizione delle ragioni per le quali valesse comunque la pena consentire la nascita dell’esecutivo: ci riferiamo ai senatori Laura Puppato e Sergio Lo Giudice e ai deputati Sandra Zampa e Sandro Gozi. Costoro hanno sottoscritto un documento per sottolineare molto criticità ma, al contempo, affermare che il Paese non può stare senza governo. Le ragioni in esso contenute saranno ribadite nell’assemblea del Pd di sabato 11 maggio. Sandro Gozi ci spiega perché, quella, sarà l’occasione per iniziare a cambiare i connotati del Pd.
Avete fatto presente che non siete una corrente. Cosa siete, allora?
Siamo i promotori della necessità di mantenere un vincolo fiduciario tra noi e il nostro elettorato e di un’iniziativa parlamentare che sia coerente.
Avete manifestato non poche criticità rispetto alla nascita di questo governo. Eppure, gli avete votato la fiducia. Perché?
Da un lato, abbiamo sollevato alcuni questioni, riscontrando una risposta positiva da parte del presidente del Consiglio; dall’altro, ci sono svariati problemi che restano aperti.
Partiamo dalla questioni risolte
Nell’ultima direzione Pd abbiamo fatto presente che non si sarebbe potuto fare un governo “copia incollando” parte del governo Monti e aggiungendo vecchie glorie del centrodestra e del centrosinistra. Chi, per esempio, per anni ha battagliato contro la politica educativa della Gelmini, come avrebbe potuto poi consentirle con il proprio voto di tornare al governo?
Ma così non è stato
Infatti. Enrico Letta ha ideato un governo innovativo sul piano del ricambio generazionale e su quello della valorizzazione del merito, benché, a onor del vero, alcuni ministri vantino un curriculum tutt’altro che adeguato rispetto al ruolo che ricoprono. In ogni caso, non possiamo che esprimere soddisfazione anche su una serie di punti programmatici per noi indispensabili, quali l’ipotesi di abolizione del Senato e dei regolamenti parlamentari, la volontà di riformare la legge elettorale, l’aver messo gli esodati tra le misure urgentissime, o l’impegno a contribuire alla nascita degli Stati Uniti d’Europa.
Ci parli delle criticità
Abbiamo sottolineato nel documento, e ribadiremo nell’assemblea di sabato, che molti di noi sono in Parlamento perché eletti in base alla promessa di un cambiamento e di un’opzione politica diversa da quella che abbiamo votato dando la fiducia a questo governo di larghe intese. Certo, sappiamo bene che, dopo l’operazione di killeraggio politico nei confronti di Prodi (e attraverso Prodi, di Bersani), i nostri margini di manovra erano ridotti a zero. E che, a quel punto, tornando in ginocchio da Napolitano per pregargli di restare, non avremmo potuto fare altro che mettere in campo l’opzione preferita dal capo dello Stato. Tuttavia, riteniamo che il Pd debba continuare a nutrire la consapevolezza di aver ricevuto dagli elettori un mandato diverso.
Questo cosa implica?
Il Pd ha il dovere di mantenere un dialogo strutturato con Sel e un apertura nei confronti dell’M5S, specialmente sui temi della moralizzazione della vita pubblica e sui costi della burocrazia. Ci sono, inoltre, dei temi collocati al di fuori dell’azione di governo sui quali dovremo, come gruppo, recuperare dei margini di autonomia parlamentare.
In questi giorni è tornato prepotentemente a galla il dibattito relativo alla natura del Pd e al fatto che rappresenti un’operazione incompiuta. In tal senso, che posizione assumerete durante l’Assemlea?
Questo Pd, per come è stato non-realizzato e per come è stato gestito – soprattutto in questa fase – , è morto. Perché, semplicemente, non è mai nato. Il vero Pd dovrà nascere con il nuovo congresso.
Cos’è il “vero” Pd?
Quello che affonda le radici nell’Ulivo e che venne promesso al Lingotto nel 2007. Ovvero, un Pd in grado di uscire dalla logica del “minicompromesso storico”. Mi riferisco a quella dinamica fondata su un equilibrio instabile di potere e nomine tra ex Ds ed ex Margherita che, fin qui, ha regolato la vita del partito. Il vero Pd, indubbiamente, dovrà tenere presente di questi due grandi filoni culturali politici, ma dovrà superarli, proiettandosi nel futuro. In tal senso, gli attuali protagonisti delle vicende politiche rischiano di cadere nella trappola dello schierarsi in opposte fazioni a seconda di vecchi schemi politici.
L’assemblea ratificherà la dimissioni di Bersani. Chi verrà dopo di lui?
Il nuovo segretario non potrà che uscire dal congresso. Nel frattempo, si dovrà individuare una persona imparziale in grado di gestire la transizione. Dovrà essere una figura di garanzia, priva di ambizioni politiche future, e al di sopra di ogni sospetto rispetto all’ipotesi di privilegiare una fazione piuttosto che un’altra.
(Paolo Nessi)