Non è stato di buon auspicio, durante la cosiddetta seconda repubblica, il ricorso a dei leader del sindacato per risolvere i problemi all’interno dei partiti. Nella fase conclusiva della centenaria vita del Psi, non andò certo bene a grandi sindacalisti come Giorgio Benvenuto e Ottaviano Del Turco. Anche un bravissimo leader della Cisl, come Franco Marini, non riuscì a far sopravvivere e a dar continuità all’anima di quel che restava della vecchia Dc. C’è quindi da sperare che il compito di Guglielmo Epifani, “traghettatore” o non “traghettatore” in questa critica fase del Partito democratico, riesca a superare questa “cattiva tradizione”. Ma non c’è dubbio che la scelta rivela un disagio più profondo di quello che si potesse pensare. In poche parole sancisce una sorta di incerto rinvio, perché non si riesce al momento a trovare una soluzione per eleggere un segretario, con un suo gruppo dirigente, che sia in grado di affrontare la nuova realtà del rapporto tra partito e società civile, che convinca tutta la base (e le correnti interne) per la sue scelte o la sua visione politica complessiva.



C’è un fatto in più che stupisce in questa nomina o elezione “a tempo” di Guglielmo Epifani. L’ex segretario generale della Cgil non fa parte, storicamente, dei due nuclei costitutivi del Partito democratico, cioè del vecchio Pci, poi diventato partito post-comunista con diverse sigle, e nemmeno di quella sinistra democristiana che era costituita da gruppi di differente ispirazione. Paradossalmente, il nuovo Pd, quello che dovrebbe rappresentare la nuova sinistra italiana, è andata a “pescarsi” un traghettatore nella storia del vecchio Psi, quello che è sempre stato contestato dai fondatori del Pd, dopo essere stato liquidato per via giudiziaria, e per diserzione, in seguito alla lunga stagione caratterizzata dalla segreteria di Bettino Craxi.



Epifani non si può certo considerare un uomo al di fuori della tradizione riformista, autonomista e anche craxiana del Psi. Dopo essersi laureato in filosofia, con una tesi su Anna Kuliscioff, negli anni Settanta Epifani lavora nel sindacato, nella Cgil, con l’incarico di segretario generale aggiunto della categoria dei poligrafici e cartai. Questo avviene nel 1979, quando Bettino Craxi è già il leader emergente – dalla nomina a segretario nel 1976 – nel socialismo italiano. Guglielmo Epifani sarà in linea con il Psi anche nella Cgil, con la battaglia di Craxi sul punto di “scala mobile” nel referendum del 1984. Ancora nel 1990, quando entra nella segreteria generale della Cgil, Epifani non sembra un precursore del grande sommovimento che segna la caduta della prima repubblica e l’emergere di nuovi partiti sulla scena politica.



Forse non si può annoverare Epifani tra i fans di Craxi, forse è solo un vecchio iscritto al Psi che si confonde nella “palude” della corrente di Francesco De Martino, magari con le venature ideologiche di Riccardo Lombardi. Ma in tutti i casi, stupisce che oggi alla testa di un Pd traballante sia stato chiamato un leader sindacale che non ha certo contrastato il craxismo, pur militando per lungo tempo nel partito di Craxi.

Intendiamoci, non si tratta certo di un ripensamento da parte della base e dell’attuale sconquassato gruppo dirigente del Pd. Dopo il 1993, Epifani imbocca un’altra strada e fa un’altra storia. Dal 1994 al 2002 diventa il vice di Sergio Cofferati nella Cgil. Anche Cofferati, pur provenendo dal Pci, sembra avere una tradizione di riformista. Ma per diverse ragioni (non ultima un duro confronto con Massimo D’Alema), Cofferati diventa una sorta di “signor no” che inchioda la Cgil su una linea di intransigenza, distinguendosi anche dagli altri sindacati.

Ed Epifani lo “copre”, lo appoggia fino a prenderne l’eredità. Resta segretario generale della Cgil fino al 2010. Oggi è un deputato di fresca nomina del Pd. In questi anni ha caratterizzato con un sostanziale immobilismo la linea della Cgil, magari sopportando a fatica la più dura intransigenza della Fiom, i metalmeccanici del sindacato di sinistra.

Dovrebbe essere questo il “traghettatore” per il nuovo Pd? In realtà, l’impressione che esce da questa nomina di Epifani alla segreteria del Pd sembra quella di dare continuità a un gruppo dirigente senza idee e che sembra sull’orlo di una sconfitta storica.

Il vero grande elettore di Epifani al ruolo di “traghettatore” è stato Pierluigi Bersani e la parte del partito (ancora maggioritaria) che lo segue e caratterizza un movimento con poche idee e con scarse prospettive politiche. Qualsiasi personaggio di vera discontinuità, in questo momento, era del tutto inadatto a una nomina anche solo di “traghettatore”, pena il rischio di una implosione immediata, di una scissione o di qualche cosa di simile. Lo ha rivelato lo stesso dibattito che si è svolto alla cosiddetta “assemblea nazionale” di ieri. Un dibattito grigio, ingessato, con i rituali ringraziamenti all’opera svolta da Bersani e con generiche aspirazioni che hanno fatto solo comprendere confusione e, tra le righe, una profonda divisione interna.

In sostanza, la nomina di Epifani sembra solo “figlia della paura”, di un partito “inventato a tavolino” che non ha mai voluto fare i conti con la storia in questi venti anni. Il rischio di una scelta politica e culturale contrassegnata dal perenne rinvio è in questo caso l’immobilismo. L’immobilismo che ha caratterizzato la Cgil in questi anni può essere trasferito, sempre da Guglielmo Epifani, nel Pd alla perenne ricerca di una linea politica, che sappia risolvere le contraddizioni sempre più esplosive che si possono vedere nella sua base militante e nel suo gruppo dirigente.