Dicono che il più preoccupato per l’innalzarsi della tensione intorno al tema giustizia sia il presidente del consiglio Enrico Letta. La navicella del suo governo è fragile e fatica a prendere il largo. Una tempesta giudiziaria potrebbe persino affondarla, nonostante l’ombrello del Quirinale sul suo tentativo di far convivere gli estremi opposti. E’ chiaro che Silvio Berlusconi stia mordendo il freno. Vincitore sul piano politico della fase post elettorale, anche grazie alla strategia suicida del Pd, rischia di venire messo fuori gioco per via giudiziaria, esattamente il suo incubo peggiore. Coloro che gli sono più vicini raccontano di una rabbia fredda, che fatica a tenere a bada l’istinto di gettare all’aria il tavolo per farsi legittimare nuovamente dal voto degli italiani. Berlusconi è convinto che Napolitano non lo consentirebbe mai, che prima si dimetterebbe, o – come minimo – che invierebbe un messaggio alle Camere congegnato in modo tale da far ricadere per intero sul Cavaliere e sul Pdl le responsabilità della rottura del delicato equilibrio sancito dalla sua riconferma al Quirinale. Fra Arcore e via del Plebiscito cresce però la sindrome d’accerchiamento. Ogni giorno ha la sua pena sul versante giudiziario.
La requisitoria di Ilda Bocassini sul caso Ruby era nel conto, ma la durezza è andata al di là delle attese. Prima la sentenza sul processo Mediaset, e avanzano le indagini di Roma sul caso Lavitola/Tarantini e quella di Napoli sulla compravendita dei senatori. L’umore del Cavaliere è altalenante, come il suo entourage, che si divide quasi a metà fra falchi e colombe. Le colombe sono quelle che sono riuscite a convincerlo che sarebbe stato controproducente andare in tv a “Quintacolonna” a poche ore di distanza dalle pesanti richieste della Bocassini. I falchi sono quelli che si sono sfogati attaccando frontalmente il presidente della Camera Boldrini per la mancata solidarietà al Pdl contestato duramente sabato scorso a Brescia. C’erano anche bandiere e militanti di Sel fra i contestatori del comizio di Berlusconi, e gli azzurri questo sgarbo non intendono affatto perdonarlo. La presidente Boldrini si è limitata a una generica difesa delle parlamentari donne, non del diritto pidiellino a manifestare e di conseguenza si sono create tutte le premesse perché a Montecitorio la convivenza fra il falco Brunetta e la presidente targata Sel continui in modo burrascoso.
Un’altra conseguenza diretta della fibrillazione continua in materia di processi di Berlusconi è che dopo la Convenzione per le riforme (di cui il Cavaliere rivendicava la presidenza), anche metter mano alla giustizia è diventato tabù per la strana maggioranza che sostiene Letta. Si è incaricato il presidente della commissione giustizia del Senato Nitto Palma di spiegare che gli equilibri sono tanto delicati che di giustizia, semmai, si parlerà dopo aver varato i provvedimenti economici cardine previsti dal governo, Imu, Iva, e rifinanziamento della cassa integrazione. 



Da Palazzo Grazioli la consegna è quella del doppio binario: tenere separati il governo e la polemica con i magistrati. Quest’ultima è destinata a crescere di tono, perché è allo studio un’offensiva mediatica e di piazza, anche se il flop in termini di ascolti dello speciale di Canale 5 dedicato domenica sera al caso Ruby ha fornito più di un motivo di riflessione. L’ipotesi allo studio è una pioggia d’interviste alle tv locali di tutta Italia. Intorno a Natale funzionò benissimo, lanciando la volata elettorale del Pdl. Stavolta l’oggetto delle interviste sarebbe però diverso e non è detto che possano avere lo stesso effetto benefico.
Ma l’incognita più grande rimane quella di quanto tempo il governo possa reggere a una simile tensione. A farne le spese potrebbe alla fine essere lo stesso Angelino Alfano, costretto ad acrobatiche contorsioni fra il suo ruolo di vicepremier e quello di vice–Cavaliere, come segretario del Pdl. Lo si è visto già a Brescia: il ruolo più problematico è proprio il secondo, e alla fine proprio alla segreteria potrebbe essere costretto controvoglia a rinunciare. Per ora, però, a Berlusconi le cose – per quanto riguarda Alfano – vanno bene così.

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