Finalmente c’è anche una data di inizio lavori. Il 29 maggio, come annunciato dal ministro dei Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini, prenderà il via, sia alla Camera che al Senato, il dibattito sulle riforme istituzionali “a partire dalla bozza che il governo ha messo a punto a Spineto”. Esattamente una settimana prima, il 22 maggio, le due Commissioni Affari costituzionali si riuniranno in seduta comune a Montecitorio per l’audizione del Ministro delle Riforme, Gaetano Quagliariello. Enrico Letta ha quindi annunciato che il governo è pronto a nominare una Commissione di esperti esterni che verranno scelti “tra le più importanti personalità esperte di riforme costituzionali”, mentre la Commissione sarà nominata dal premier che la presiederà delegando la funzione al ministro delle Riforme. Questo organismo, che “avrà 100 giorni di tempo per mettere a punto opzioni e idee da consegnare ai presidenti del Parlamento”, sarà presieduto dai presidenti delle due Commissioni Affari costituzionali, Anna Finocchiaro e Francesco Paolo Sisto.



Onorevole Sisto, ci aiuta a fare chiarezza sul progetto che sta per prendere il via?

E’ necessario innanzitutto fare una premessa. Ci troviamo di fronte a un progetto di massima e non certamente a un progetto esecutivo. Chiunque pensasse il contrario commetterebbe un grave errore, anche perché la delicatezza e l’importanza dei temi che si andranno a trattare impone un lavoro ineliminabile sul piano della correttezza del metodo.



Cosa può dirci di questo progetto di massima?

Il governo formulerà una proposta, avvalendosi dell’apporto di un gruppo di esperti, ma sia chiaro che ogni decisione e dibattito avverranno all’interno della democrazia parlamentare. E’ il Parlamento, infatti, che deve fungere da responsabile del procedimento, valutare la proposta del governo e licenziarla con il rispetto di quelle che sono le scelte del popolo all’interno del Parlamento. Che nessuno pensi, dunque, che le riforme istituzionali possano essere affidate a soggetti diversi da deputati e senatori.

E’ però anche vero che la commissione di esperti sarà esterna al Parlamento. Perché dunque uscire dai canoni di revisione costituzionale previsti dall’articolo 138?

Sono dell’idea che la scelta di ridisegnare la Convenzione attraverso la “somma” di deputati e senatori appartenenti alle Commissioni Affari costituzionali di entrambi i rami del Parlamento possa garantire il rispetto della democrazia parlamentare. Quello degli “esperti”, quindi, non è un organismo esterno lontano dal Parlamento, ma a uno strumento di esclusiva radice parlamentare che potrà rivelarsi molto utile per raggiungere gli obiettivi necessari. Indubbiamente il percorso andrà valutato con attenzione, ma si tratta di un progetto che potrà certamente essere coltivato.

Ma da chi verranno scelti i membri della commissione di esperti presieduta dal premier? E in che modo? 

Questo è un problema del governo, non certamente del Parlamento. Parliamo di esperti che il governo ha intenzione di individuare per poter essere meglio assistito nell’affrontare quelle che sono le proposte avanzate: personalmente non ho particolari preferenze riguardo coloro che dovranno comporre questa commissione, ma è indubbio che le proposte dovranno obbligatoriamente passare attraverso le maglie del Parlamento.

 

Passiamo invece alle riforme: sia Franceschini che Quagliarello si sono soffermati sulla legge elettorale, mentre lei ha detto in questi giorni di non credere che questa sia una priorità “perché molto dipende dall’assetto che verrà”. Cosa intende?

Se andiamo a modificare il modello ordinamentale fondamentale, mi sembra logico che la legge elettorale seguirà quasi in modo naturale queste modifiche. Anticipare una legge elettorale con la certezza di dover modificare il modello di Stato, quindi, rappresenta un passo in avanti che non ha alcuna giustificazione. Inoltre si corre anche un altro rischio.

 

Quale?

Che si scateni un vero “tsunami” legislativo per cui tutte le energie nervose che dovrebbero servire per le riforme siano spese per tutte quelle piccole grandi conflittualità che la modifica della legge elettorale comporta. Andremo quindi a porre in essere una sorta di equilibrismo legislativo, per anticipare una legge elettorale su un modello da modificare, con un’ansia di cambiamento che non è certamente indipendente dalle aspettative che ciascun partito ha dalle prossime consultazioni.

 

Lei quindi cosa propone?

Sostengo semplicemente che la legge elettorale va lasciata alla fine e che bisogna prima operare sulle riforme costituzionali e modificare il modello. Proprio su questo, poi, sarà possibile ritagliare con maggiore facilità e con maggiore capacità di consenso una legge elettorale perfettamente sintonizzata a ciò che è stato fatto in precedenza. Prima di tutto, quindi, è necessario procedere con quelle riforme istituzionali già più volte annunciate, come il taglio dei parlamentari, il superamento del bicameralismo perfetto e, infine, la legge elettorale.

 

Lei ha recentemente proposto quello che è stato già chiamato “Sistellum”. Di che si tratta?

Fatta eccezione per il nome che era più che altro una battuta di un cronista, sulla legge elettorale posso dire di non avere una grandissima passione per l’esasperazione delle preferenze, come anche non ho alcuna propensione per il Porcellum dell’antipolitica. Basta quindi con l’eccesso di preferenze e con l’eccesso di voto massificato, affinché si possa arrivare a un buon equilibrio tra preferenze e un voto che non sia esclusivamente indirizzato a favorire alcuni a discapito di altri.

 

Come mai la riforma istituzionale è prioritaria secondo lei?

Semplicemente perché il tempo passa, il modello di Stato si evolve e va adeguato. Un cambiamento è ormai ritenuto da tutti necessario, quindi deve avvenire il prima possibile. Le riforme istituzionali sono prioritarie perché sono condivise da tutti: su qualche passaggio poi ci potrà essere un maggiore dibattito, ma credo che l’esigenza di cambiamento sia davvero universale.

 

(Claudio Perlini)