Il governo ha ottenuto la fiducia alla Camera e al Senato, Enrico Letta gira l’Europa per accreditare il nuovo governo di coalizione, il Pdl continua a ripetere che l’Imu va tolta e subito. «La partitocrazia continua» dice a ilsussidiario.net Paolo Becchi, docente di filosofia del diritto a Genova e ideologo del Movimento 5 Stelle. Le sue parole sembrano suonare come un avvertimento. «In Italia ci sono tre milioni di disoccupati, e se ad essi sommiamo tutti quelli che non hanno un rapporto di lavoro stabile si arriva a 8 milioni di persone virtualmente in piazza. Non possiamo continuare a pensare che M5S continui a tenerle congelate».



Si è insediato il nuovo governo, in un clima assai teso per l’attentato di Luigi Preiti e le polemiche che lo hanno seguito. Ma lei rincara la dose.
Direi che si è realizzato ciò che fin dall’inizio Napoletano aveva prospettato: ora tutto quadra, anche la scelta della commissione dei saggi per preparare l’inciucio, o se vogliamo usare un termine più tradizionale, il governo delle larghe intese. Era questa l’intenzione originaria del capo dello Stato, che ha ottenuto quello che voleva. L’altro vincitore è Berlusconi.



Perché Berlusconi?
Ha gestito con grande astuzia questa fase politica e ottenuto il massimo risultato, perché il governo è nelle sue mani. Può farlo durare quanto vuole e il caso dell’Imu ne è la conferma. C’è il nuovo esecutivo, è vero, ma la crisi non è risolta. La partitocrazia continua. C’è solo da augurarsi che il governo riconosca i diritti di chi è in minoranza.

Per lei larghe intese è sinonimo di partitocrazia?
Sì, perché tutto è in mano ai vecchi partiti del centrosinistra e del centrodestra. Pdl e Pd sono i partiti che hanno governato il paese negli ultimi vent’anni, portandolo sull’orlo del baratro. L’alleanza di centrosinistra poi è dissolta: Sel ha votato un altro presidente della Repubblica e non ha dato la fiducia al governo.



Quella che vediamo non allora una Grosse Koalition alla tedesca?
No, perché questa aveva alle spalle due forze reali e strutturate, la Cdu e l’Spd, mentre da noi il Pdl è la riproposizione infinita di Berlusconi e il Pd ha cercato di crearsi una propria identità mettendo insieme la sua vecchia tradizione di sinistra con quella di matrice cattolica, ma non c’è mai riuscito.

Secondo lei cosa accadrà?
Nessuno può dirlo, ma gli auspici non sono dei migliori.

Luigi Preiti ha sparato ai carabinieri ma ha detto che voleva colpire i politici. L’on. Laura Castelli (M5S) ha dichiarato che «cose così non succedono a caso» suscitando aspre polemiche. Lei cosa dice?

La violenza è sempre da condannare. Non posso naturalmente entrare nel merito della vicenda istruttoria perché le indagini toccano agli inquirenti. Ma il fatto oggettivo è quello di una casualità che fa riflettere. Un governo giura nelle mani del presidente della Repubblica e un disoccupato si mette a sparare contro i carabinieri: va da sé quanto sia importante salvare le istituzioni, no? Quelle che hanno fatto una conventio ad excludendum per tagliar fuori M5S.

Sta dicendo insomma che lo sparatore ha fatto bene al governo e male a voi?
Sto dicendo che è accaduto come quando in Germania ci furono le elezioni vinte da Schroeder anche grazie all’alluvione che colpì le regioni orientali del paese, mettendolo nei panni del salvatore. Nessuno faveva fatto la danza della pioggia, ma il governo si diede subito da fare e alle elezioni vinse il partito di Schroeder. Non dico dunque che Preiti sia stato mandato da qualcuno, ma il fatto che la sua vicenda abbia avuto questa utilizzo strumentale credo sia innegabile.

Non pensa che i toni della vostra protesta contro la classe politica alimentino il risentimento e la tensione sociale?
Domanda ovvia. Il caso Preiti nasce dal clima di violenza, odio e terrore che il M5S ha alimentato in questi mesi, eccetera, insomma se si soffia sul fuoco, il fuoco si accende. Non è così. Io credo invece che la tensione sociale sia dentro la situazione drammatica in cui vive il paese. È anzi vero l’opposto: fino a questo momento il M5S ha canalizzato forme di protesta che in altre situazioni avrebbero assunto forme violente. La vera domanda è fino a quando questo potrà accadere. M5S sta facendo il pompiere, ma il fuoco è nei rapporti sociali.

È il solito ritornello.
Ma scusi, stiamo ai fatti. Torniamo indietro e pensiamo al modo in cui è stato eletto, per la prima volta, lo stesso presidente della Repubblica uscente, con la gente in piazza a protestare. Una cosa mai successa. M5S aveva l’opportunità di andare in piazza, ma Grillo ha detto no, ha fatto marcia indietro. È mancanza di coraggio? No, al contrario, è la volontà di contenere la protesta, di non avallarla facendosi strumentalizzare. Il Movimento si conferma come una forza capace di canalizzare nelle vie democratiche e istituzionali una protesta che potrebbe essere eversiva.

Secondo lei da dove viene questa protesta e perché M5S guarda caso vi finisce sempre in mezzo?
L’opinione pubblica è manipolata da giornali e tv. Domani si leggerà sicuramente da qualche parte che Becchi inneggia alla rivolta armata in Italia. In realtà l’azione di mistificazione condotta dai grandi giornali ha trovato un ostacolo imprevisto: la Rete. Se non ci fosse la Rete, il Movimento si sarebbe già esaurito sotto la spinta delle accuse di fascismo, populismo e terrorismo che si leggono sui soliti giornali.

Il capo dello Stato ha apprezzato l’impegno del movimento nelle camere, ma ha anche detto che la strada è quella «della dialettica democratica e non quella, avventurosa e deviante, della contrapposizione tra piazza e Parlamento». 

Giudico quel discorso in modo molto negativo. Non parla così un capo dello Stato, garante e super partes, ma un capo di governo. Ha preso le difese di una parte, la sua coalizione, per criticare chi oggi sta dentro il palazzo in modo diverso. Dentro il palazzo non c’è un partito come gli altri, ma cittadini che si fanno portavoce del movimento. Il vecchio parlamentare è senza vincoli, gli eletti di M5S sono veri portavoce delle istanze reali del paese. M5S ha fatto una rivoluzione che ci si ostina a non vedere.

Non crede che dire «siamo disposti a votare le proposte degli altri solo se sono uguali alle nostre» sia un atteggiamento di chiusura? Siete minoranza e volete comandare?
Non vedo questo rischio. In un sistema parlamentare come il nostro le forze che non hanno dato la fiducia al governo vanno all’opposizione, alla quale però il nostro sistema bilanciato ha sempre riconosciuto una funzione di garanzia. Prima dei guasti del compromesso storico il Pci era all’opposizione, ma Nilde Iotti era presidente della Camera. Adesso invece le due camere se le è prese la coalizione di sinistra, il capo dello Stato è lo stesso di prima, la costituzione delle commissioni è stata bloccata. Attendiamo di capire cosa intendono fare i partiti dell’inciucio con il Copasir e la vigilanza Rai.

Cosa temete?
Avverrà che andranno alla Lega e a Sel, ma sarebbe un’ingiustizia perché la loro è una opposizione fittizia: fanno parte l’una del centrodestra e l’altra del centrosinistra. Se il M5S non avrà la presidenza delle commissioni di garanzia credo che si possa parlare di tutto fuori che di una dittatura della minoranza, non le pare?

Ci avete provato con il capo dello Stato, ma Rodotà non è stato eletto. Colpa di chi?
La vicenda di Rodotà merita un discorso a parte. Tutti a dire che M5S non ha accettato l’accordo col Pd. La realtà è invece che il Pd ambiva ad avere i voti di M5S per fare i suoi giochi. Ricordo che Stefano Rodotà è stato nientemento che presidente del Pds. Era lui il candidato di cui il Pd avrebbe dovuto approfittare, invece ha scelto di rinunciare al rinnovamento.

Le famose «praterie», come diceva Grillo, che si sarebbero aperte al governo Bersani.
Appunto. Ma evidentemente la volontà del Pd, fin dalle prime trattative sul governo, non era seria.

(Federico Ferraù)