Il movimento 5 stelle è nato come risposta alle varie “caste” presenti nel nostro Paese, ritenute responsabili di averlo irrigidito su posizioni sociali, politiche ed economiche intollerabilmente lontane dagli altri paesi. Le caste, che per definizione hanno natura “esclusiva”, hanno infatti tenuto fuori la società civile da ambiti ormai presidiati da minoranze impermeabili e lontane. Questa distanza era divenuta drammaticamente più ampia e intollerabile proprio in coincidenza dell’acuirsi della crisi economica globale, cui la nostra classe dirigente ha risposto, purtroppo, esclusivamente mettendo mano alla calcolatrice senza avviare un dibattito capace di coinvolgere l’intera società civile nella formulazione di una nuova “visione” sul nostro Paese. In queste elezioni politiche io ho votato il M5S proprio perché ho intuito in esso un tentativo in tal senso a differenza dei partiti appartenenti all’area popolare a cui ho sempre fatto riferimento. La creazione di un gruppo locale di attivisti (Meetup) su Castrolibero ha inoltre raccolto il mio desiderio di iniziare a dare un contributo personale alla politica attiva. Una serie di circostanze legate al desiderio degli attivisti locali di presentare una lista alle elezioni comunali e la convergenza su di me come candidato sindaco mi ha consentito provvidenzialmente di fare un’esperienza diretta di alcuni aspetti caratteristici del M5S, e quindi a decidere, nell’arco di tre mesi, di uscirne. I tre fattori che mi hanno convinto fanno riferimento ad una posizione di “esclusività” che è il tradimento politico di quella “inclusività” anti-casta di ho cui parlato all’inizio. Il primo riguarda le dinamiche organizzative del Movimento che ho visto in occasione della presentazione della lista alle elezioni comunali. Ad esse, infatti, non abbiamo potuto partecipare, a causa di gabbole burocratiche incomprensibili, rimaste irrisolte poiché il cd. “Staff”, cioè le quattro persone che insieme a Grillo e Casaleggio decidono l’intera organizzazione del Movimento, per due mesi è stato irraggiungibile per chiunque, Parlamentari compresi, mostrando un totale disimpegno verso le questioni politiche locali e soprattutto aspetti direi “esoterici”.
Il secondo fattore è legato al rendermi conto della sostanziale improduttività dei Meetup il cui lavoro nasce da presupposti ideologici calati da un piccolo gruppo di leader locali (uno vale uno?!?), si sviluppa in modo impermeabile ai pareri diversi da quelli “dominanti”, e di conseguenza produce dei “totem” utili solo ad orientare in modo mass-mediatico le strategie elettorali sul territorio. Se questo è l’aspetto qualitativo, quello quantitativo non è da meno, infatti, su quasi 1.500 iscritti ai Meetup dell’area urbana cosentina solo una cinquantina partecipano fisicamente e questi, a parte esercitare la fantasia per intrattenere i cittadini durante i banchetti e discutere i progetti ideologici di cui sopra, producono praticamente nulla. Il terzo fattore, che per me è stato decisivo, fa poi riferimento al comportamento avuto in questi primi mesi di politica nazionale, e che ha mostrato platealmente questa posizione di chiusura e di “esclusività”. Quando l’on. Lombardi disse al premier incaricato on. Bersani «le parti sociali siamo noi» rivelò chiaramente di rappresentare quella “parte” di cittadinanza che pensa di conoscere la realtà meglio degli altri solo perché la guarda dal “totem” per eccellenza: la rete, i social network, i blog, etc. Quando poi l’on. Colletti disse che il nuovo governo «odora di intrecci di comitati d’affari quali Cl e Compagnia delle Opere» ha pescato nelle demagogie più grossolane per comporre un giudizio, non solo gravemente offensivo, ma scioccamente “esclusivo” sull’origine educativa delle più spettacolari opere sociali, culturali e caritative che esistono in Italia. Questi tre fatti evidenziano chiaramente un sistema valoriale “marxista” e totalmente orientato ad identificare ed eliminare il nemico, le caste, i “cattivi”, subentrando, in qualità di “buoni”, al loro posto.
Questo atteggiamento è evidentemente contrario alla tradizione popolare, democratica e sussidiaria che caratterizza l’azione politica e sociale del cattolico. Il M5S si muove per avere la maggioranza necessaria a rifare le cose da zero, per eliminare il “male” e fare il “bene”, mentre sappiamo che il cattolico è invece chiamato ad essere “il lievito nella pasta”, ed “il grano buono tra la zizzania”, perché il problema non è mai anzitutto la società o la casta, ma è l’uomo e come la coscienza di sé si traduce in azioni. Il nome stesso del “partito”, d’altronde, contiene proprio al suo interno la scintilla valoriale del M5S: quella V rosso sangue che rimanda al desiderio irrefrenabile di Vendetta che occupa l’animo del suo fondatore. Pertanto, in questo momento storico, premessi i rischi politici e culturali finora descritti, ritengo sia più adeguato per un cattolico, premere per un impegno al cambiamento dei partiti, affinché ritrovino progettualità e permeabilità alla società civile, che non partecipare ad un progetto di Vendetta le cui vittime saremo noi, tutti “casta” tranne loro.
(di Marco Piccolo)