E’ stato subito definito il provvedimento “Salva Berlusconi”. Il disegno di legge presentato da Francesco Nitto Palma, presidente della commissione Giustizia al Senato, si propone di punire magistrati che rendono “dichiarazioni che rivelano l’assenza dell’indipendenza”, così come “ogni altro comportamento idoneo a compromettere gravemente l’indipendenza, la terzietà e l’imparzialità del magistrato”. I principali quotidiani e agenzie di stampa hanno scritto che l’obiettivo del ddl è bloccare tutti i processi ogni volta che un magistrato è politicizzato. Peccato che leggendo il testo del disegno di legge, si scopre che vi si parla soltanto di sanzioni al giudice, ma che comunque il processo prosegue per la sua strada. Ilsussidiario.net ha intervistato Felice Casson, senatore del Pd, ex magistrato e relatore della legge del 2006 che il ddl Nitto Palma punta a modificare.



Senatore Casson, quindi la notizia sul disegno di legge per bloccare i processi al Cavaliere è soltanto una bufala?

Certo, il ddl Nitto Palma non c’entra nulla con i processi penali in corso. Si tratta di un testo che non cambia la sostanza: fin dall’entrata in vigore della legge 109 del 2006, di cui sono stato relatore, nel caso di illeciti dei magistrati si apre un procedimento disciplinare senza sospendere il processo. L’intero equivoco è nato da una notizia di stampa sbagliata.



Per quale motivo allora si grida a un ddl “Salva Berlusconi”?

E’ stata l’agenzia di stampa che per prima ha dato la notizia ad avere commesso un errore: hanno preso una topica e scritto una cosa che non è vera. Non voglio difendere Nitto Palma, e ci mancherebbe altro, però è un dato di fatto che non è vero che questo sia un decreto “Salva Berlusconi”.

In generare condivide i contenuti di questo disegno di legge?

No, in quanto non sono assolutamente d’accordo su queste fattispecie d’illecito. Nel 2006 con il governo Prodi noi avevamo riformato l’ordinamento giudiziario, ed eravamo arrivati a un punto conclusivo di decenni di battaglie all’interno della magistratura sui temi della giustizia. Avevamo stabilito che l’illecito disciplinare deve essere tipizzato, in quanto non si può punire una persona se non è previsto in modo specifico un determinato comportamento. L’articolo 1 del ddl Nitto Palma è un passo indietro che ci riporta a decenni fa, quando poteva essere considerato illecito disciplinare tutto e il contrario di tutto. Si tratta quindi di una norma pericolosa.



Quali conseguenze può avere questo ddl?

La previsione di quell’illecito disciplinare, in maniera così ampia e indeterminata, è pericolosa perché espone i magistrati al rischio di andare incontro a un procedimento disciplinare per qualsiasi cosa. Da un illecito deriva un possibile trasferimento d’ufficio, con il percorso che è previsto normalmente per questi casi.

 

I magistrati non dovrebbero astenersi dal fare certe dichiarazioni?

Le sanzioni per le dichiarazioni inopportune sono già previste nell’ordinamento giudiziario. Con l’articolo 1 ter del ddl Nitto Palma si è voluto allargare il procedimento disciplinare a qualsiasi comportamento.

 

Resta il fatto che poi il Csm quasi sempre scagiona i magistrati politicizzati …

Proprio per questo si è pensato di creare un organismo esterno al Consiglio superiore della magistratura. Attraverso una legge di riforma costituzionale, si potrebbe creare un’alta corte di giustizia relativa ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili. In alternativa, potrebbe essere aperta una sezione all’interno della Corte costituzionale che decida su queste situazioni, così come sui titoli dei parlamentari in sede di elezione o di autorizzazione a procedere.

 

Lei è a favore di queste proposte?

Sono a favore dell’eliminazione della giurisdizione domestica, in quanto sono convinto che il giudice debba essere terzo ed esterno. Ritengo che la soluzione migliore a questi problemi sia la creazione di una sezione della Corte costituzionale, per giudicare sia i magistrati sia i parlamentari. La Consulta ha già una composizione mista, in quanto i suoi membri sono eletti per un terzo dal presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento e per un terzo dalle supreme magistrature. In questo modo sarebbe possibile garantire l’indipendenza del giudizio sugli illeciti disciplinari.

 

(Pietro Vernizzi)